Aikido un’arte che emancipa. Un’arte che si emancipa.

di Régis SoaviDa settembre 2023 presso i dojo della Scuola Itsuo Tsuda, a Parigi, a Tolosa come a Milano oltre alle sedute quotidiane, una seduta di Aikido a settimana sarà riservata esclusivamente alle donne.

Una seduta per donne, gestita da donne, condotta da donne.

Forse è importante precisare fin da subito che non si tratta di una nuova versione dell’Aikido e nemmeno di un Aikido più morbido e ovviamente soprattutto non di un Aikido “femminile” ma di un Aikido “non-misto per scelta” concepito come un atto di “empowerment”.Fondamentalmente, non è destinata alle praticanti che già conoscono la nostra Scuola e che vanno alle altre sedute, quantunque vi siano le benvenute per essere Sempai o per permettere di far scoprire la pratica alle nuove persone che verranno. L’obiettivo è quello di permettere alle nuove partecipanti di praticare l’Aikido nel rispetto della loro diversità, e quindi di avere una visione diversa da quelle diffuse attraverso i vari media troppo spesso alla ricerca del sensazionalismo, dell’esagerazione, anche del volgare. Tutti abbiamo sentito commenti o da una compagna o da un’amica che, dopo averci sentito parlare dell’Aikido, ci hanno detto “no no, non fa per me, è troppo violento” o anche “è una cosa da maschi”. Oggi è necessario presentare l’Aikido come una possibilità realistica di permettere alle donne di ritrovare “una fiducia in se stesse” spesso alterata dall’ambiente dominante nelle arti marziali e di affermarsi non come una comunità separata ma piuttosto come un gruppo che si emancipa, che esce da un certo tipo di relazione sociale per cercare di trovare, ritrovare o continuare il cammino, “la via”, che è costantemente da riscoprire, verso un’umanità più semplice, più pacifica e, quindi, più vera. Proporre un’arte marziale già riconosciuta in modo specifico come l’Aikido, una seduta separata per le donne, non è nulla di rivoluzionario o di nuovo per noi perché le donne nella Scuola Itsuo Tsuda sono sempre state numerose e molto spesso persino maggioritarie. Ma, da lì a creare una seduta supplementare di questo tipo, c’è il pericolo che sia oggetto di una tale incomprensione per gran parte dei praticanti come delle praticanti, di qualunque scuola siano, che c’è il rischio che questa innovazione venga considerata problematica, perturbante, inutile e quindi controproducente. Questa incomprensione non sarà un’esclusività di quelli o quelle che sono coinvolti nella nostra arte, temo, perché sento già un buon numero di critiche, sia nella forma che nella sostanza, che potrebbero avere le loro ragion d’essere se il mondo d’oggi fosse davvero quello che afferma di essere e non quello che è veramente. Questo percorso a mio avviso è diventato una necessità ancora più acuta nel ventunesimo secolo che nei secoli precedenti, semplicemente a causa della modernizzazione ideologica delle menti che vorrebbe far credere in una nuova normalità più eguale quando di fatto non è che la reificazione del vecchio mondo.Barbara Glowczewski quando scrive sugli aborigeni australiani ci dà le ragioni di questo bisogno di “entre soi”1 che secondo me è sempre esistito anche se è stato ostacolato o travestito in modo da poter persistere nonostante la disapprovazione della società: “Se questa rivendicazione di un ‘entre soi’ esiste è perché c’è stata storicamente una disapprovazione, una spoliazione di ciò che apparteneva loro, o meglio di ciò che segnava la loro appartenenza sia ai saperi sia alle terre che essi ed esse hanno trasformato nei secoli, anzi nei millenni.” Tutto è detto.aikido émancipe

Perché ho promosso e sostenuto con determinazione questo progetto?

Forse perché, praticando arti marziali da 60 anni e in particolare l’Aikido da 50 anni, sono sempre stato interessato al lato Yin che ha tanta importanza nella nostra arte come componente intrinseca della totalità e che viene tanto spesso sminuito, così come il lato Ura è stato spesso svalutato a favore dell’Omote apparentemente tanto più brillante e quindi ritenuto a torto più forte, più “valido” in una scala di valori distorta da secoli.Forse questi aspetti rappresentano quello che mi mancava o meglio quello che faticava a svilupparsi naturalmente in me all’interno di questa società così Yang e che l’insegnamento del mio maestro Tsuda sensei mi spingeva a cercare, a riscoprire nel profondo. Sicuramente è anche ciò che immaginavo di dover reprimere o almeno moderare per sopravvivere e cercare di vivere come pensavo di desiderarlo, come mi suggeriva la società. È anche grazie alla mia personale vita familiare, a tutta la sua ricchezza e soprattutto al suo radicalismo nei confronti del mondo sociale, che ho potuto trovare la strada verso questo universo troppo spesso misconosciuto da quella metà dell’umanità che è il mondo femminile, un mondo né totalmente Yin come qualcuno potrebbe farci credere a prima vista, né privo di Yang, anzi.L’Aikido di Tsuda Sensei mi ha permesso di cogliere un’altra dimensione che andava ben oltre ciò che avevo potuto percepire in un primo approccio alle arti marziali. A questo proposito scrive, già nel 1982, questa frase che sembra premonitrice: “L’Aikido, concepito come movimento sacralizzato dal Maestro Ueshiba, sta scomparendo per far posto all’Aikido atletico, uno sport da combattimento, più in linea con le esigenze dei civilizzati”2. Aveva questo modo di toccare, spesso semplicemente con l’aiuto di poche parole, i nostri punti sensibili, di aprire porte nella nostra mente per far riflettere noi (suoi allievi) sul concreto, sulla vita quotidiana.femmes aikido émancipe

Un’arte che emancipa.

Uscire dai sentieri battuti e ribattuti, solcati dal vomere delle convenzioni e dai carri pesanti per i carichi di idee prefabbricate è certo un lavoro difficile ma più che necessario.È ora giunto il momento di uscire dai ranghi, di approfittare di uno stato di coscienza che è potuto emergere in Occidente grazie al movimento femminista e che riprende in quest’ultimo le rivendicazioni delle generazioni precedenti prima che nuovi ideologi al servizio del potere, o meglio dei poteri, non utilizzino tutto ciò che c’è di vero in questa emersione attraverso un discorso che, con i suoi presunti aspetti innovativi, ricicla vecchi logori ritornelli, mescolandoli se necessario con le idee in voga, nel migliore dei casi pensando di fare la cosa giusta, nel peggiore comportandosi da lacchè delle ideologie dominanti.Se l’Aikido è un’arte che emancipa l’individuo, e questa è la sua principale ragion d’essere nella nostra Scuola, è quindi necessario, anzi imperativo, aprire gli occhi sul mondo che ci circonda. Questa emancipazione deve tuttavia essere senza limiti anche se a volte è doloroso guardare in faccia le cose, è sempre molto salutare farlo.Constatare l’abbandono della nostra arte e di conseguenza il disinteresse che essa sembra suscitare sia tra gli adolescenti sia tra i giovani adulti e, notoriamente da parte di metà dell’umanità (il mondo femminile), è diventato un’evidenza per molti e molte insegnanti di arti marziali. La risposta più spesso addotta con l’obiettivo di reclutare nuovi/e praticanti è quella di offrire dimostrazioni di efficacia e prove comparative tra le diverse tendenze, scuole o arti diverse, quando non si tratta di mescolare tecniche provenienti da tutto il mondo per creare un melting-pot attraente per quante più persone possibile! E se il problema non fosse lì, proprio per niente lì dove stiamo vanamente scavando e ostinandoci a trovare una soluzione?Una persona emancipata è una persona autonoma, indipendente, libera: la nostra ricerca va in questa direzione. Creando spazi di libertà, luoghi diversi per loro intima natura, possiamo permettere che si creino le condizioni che favoriscono lo sviluppo dell’essere in modo veramente autonomo. I dojo sono luoghi di tale natura. Ma chi lo sa?! Il timore di ritrovare le stesse condizioni di tutto ciò che le circonda e le opprime “in modo discreto” non incoraggia il mondo femminile ad entrare in uno dei nostri dojo per vedere cosa vi succede davvero, disilluse come sono dai tentativi infruttuosi già sperimentati o dalla falsità dei discorsi spesso lenitivi, sebbene socialmente accettabili. Mi sembra che dobbiamo creare delle situazioni come l’affirmative action negli Stati Uniti, secondo me tradotta erroneamente come “discriminazione positiva”, che venne resa possibile dall’iniziativa di J.F. Kennedy all’inizio degli anni Sessanta. Una situazione nuova, un posizionamento dei Dojo, che consente alle donne che, pur attratte dalle arti marziali, non avrebbero alcun desiderio di confrontarsi ancora una volta con il sessismo (anche se involontario, e gentile). Permettere di tentare, avendo esse un rapporto particolare con il corpo, diverso da quello degli uomini, che una volta tanto non sarà loro rimproverato né accettato con accondiscendenza, di trovare sia il piacere sia l’efficacia grazie ai progressi fisici nei movimenti, la stabilità e l’equilibrio nell’armonizzazione della respirazione senza ambiguità o compiacenza. Essendo assente la competizione, possono così scoprire tutte le capacità del loro “essere”, della totalità del loro corpo come della loro mente in un ambiente reso sicuro dall’aver posto in essere l’aspetto non misto. Il lato marziale, anch’esso non dimenticato, permetterà di ritrovare delle capacità e una sicurezza di fronte alle avversità esistenti in un mondo dominato dal potere del maschile.

takako kunigoshi
Takako Kunigoshi

Un’arte che si emancipa

Da Louise Michel e le sue consorelle durante la Comune di Parigi, e ancor prima di loro, da Olympe de Gouges agli albori della Rivoluzione francese, le donne rivendicano la Libertà l’Uguaglianza e la Fraternità (o la Sorellanza) per tutte e tutti senza mai trovarle ad eccezione di qualche raro momento storico, ed anche in questo caso in modo molto relativo.E se l’Aikido fosse questa leva che agisce per cambiare la nostra società, questo strumento che emancipandosi dalle abitudini, dalle idee preconfezionate, dai corredi che gli sono stati aggiunti, ridiventasse o almeno si avvicinasse di nuovo agli ideali del suo fondatore Morihei Ueshiba, che considerava il mondo come una grande famiglia?O sensei insisteva sull’importanza dell’equilibrio tra Yin e Yang, sulla loro alternanza all’interno dell’Unità. Tsuda Sensei ci parlava continuamente della respirazione Ka Mi, l’alternanza di inspirazione ed espirazione alla base della Vita. Nei due esempi entrambi di fatto parlavano del Tao, dell’Uno. Per tornare a questa ricerca dell’unità contrapposta alla separazione, è talvolta necessario fare un passo indietro, come farebbe qualsiasi buon sociologo, per analizzare cosa ha portato l’Aikido a questa impasse in cui si trova oggi, quando invece era considerato una delle principali arti marziali negli anni Sessanta e Settanta, sia dal punto di vista filosofico che per quanto riguarda gli aspetti fisici, accessibile a tutte e a tutti indipendentemente dall’età o dalla forma fisica.Tsuda sensei, come tutti gli allievi di O sensei, aveva il suo modo, e in un certo senso era molto particolare, di comunicarci ciò che aveva visto e compreso nell’insegnamento del suo maestro. La sua ricerca era diretta fin dall’inizio verso il Non Fare. Non essendo giovane, aveva quarantacinque anni quando iniziò a praticare Aikido con il maestro Ueshiba, scoprì qualcosa che i giovani Uchi-Deshi non erano in grado di vedere o capire, come spiega così bene Tamura Sensei. Infatti Tsuda sensei non insegnava, ci trasmetteva quello che aveva scoperto con i maestri che aveva conosciuto, tra gli altri, con Ueshiba sensei, Noguchi sensei o Marcel Granet e Marcel Mauss. Questa trasmissione mi ha segnato al massimo grado ed è stata il filo conduttore del mio insegnamento durante tutti questi anni. Mi ha permesso di rivolgermi alle donne e agli uomini senza occuparmi della distinzione di genere, età o livello, capacità del corpo così come difficoltà o addirittura handicap. Per me anche questo è stato occasione di migliorare il mio insegnamento e di insistere su certi aspetti per andare verso la libertà e l’autonomia degli individui.L’Aikido è un superamento dei conflitti: ai-nuke, è un’occasione per capire come gestire i problemi della società. Tsuda sensei scrive “L’Aikido del Maestro Ueshiba, da quello che ho sentito, era completamente pieno di questo spirito di ai-nuke, che chiamava ‘non-resistenza’. Dopo la sua morte, questo spirito è scomparso, è rimasta solo la tecnica. Aikido originariamente significava la via della coordinazione del ki. Inteso in questo senso, non è un’arte di combattimento. Quando la coordinazione è stabilita, l’avversario cessa di essere avversario.”3 Sta a ciascuno di noi prendere in mano questo strumento, perché è nelle nostre mani che può acquisire una reale efficacia, non con discorsi ma fungendo da esempio delle possibilità alla nostra portata. Aprendo il corpo, si aprono gli occhi alle realtà. Ora o mai più sta a noi insegnanti permettere che la nostra arte, poiché dovrebbe essere più lucida, sia l’arte del superamento delle arti antiche, attingendo alle sue origini che non sono negate ma intese come la necessità, certamente arcaica, di un’epoca ormai passata. Creando le condizioni necessarie per permettere alle donne di riappropriarsi, almeno nella nostra Scuola, di ciò che per tanti secoli era loro sfuggito e mancato, si tratta di creare un contesto, un ambiente, un’atmosfera indispensabile, un contesto essenziale perché questo lavoro di riconquista possa compiersi. Queste sedute dedicate in un certo senso sono solo una proposta per suscitare una situazione di riequilibrio che dovrà estendersi a tutti gli ambiti, nelle arti marziali così come al di fuori della società, e principalmente in ogni aspetto della vita quotidiana. Takako Kunigoshi sensei, una delle rare allieve donne del Kobukan Dojo, citava queste parole di O sensei: “Che sia la cerimonia del tè o la composizione floreale, esistono dei punti in comune con l’Aikido poiché il cielo e la terra sono fatti di movimento e di calma, di luce e d’ombra. Se tutto fosse continuamente in movimento ci sarebbe un caos completo.”4Volete ricevere i prossimi articoli? Iscriviti alla newsletter:

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Articolo di Régis Soavi pubblicato in Self e Dragon Speciale n° 15 nel mese di ottobre del 2023.1) L’entre soi (trad. lett.: tra di sé) è la situazione in cui ci si trova solo con i propri simili.2) Itsuo Tsuda, La Voie des dieux, Le Courrier du Livre, 1982, p. 146.3) Itsuo Tsuda, Face à la science, Le Courrier du Livre, 1983, p. 29.4) Takako Kunigoshi sensei, Les Maitres de l’Aikido – période d’avant guerre, Ed. Budoconcepts, p.286.