Dojo, un movimento perpetuo

Di Manon Soavi.L’apertura di un nuovo luogo di pratica è sempre una gioia ed è per questo che siamo felici che un nuovo dojo veda la luce a Pescara, una città situata nella regione Abruzzo sul mare Adriatico. Manola DP che insieme ad altre persone ha fatto nascere il dojo Bodai a Roma, apre oggi questo secondo luogo, dopo 18 anni di viaggi in cui ha percorso i circa duecento chilometri che separano Pescara da Roma per praticare e far vivere il dojo.Così, ci è venuta voglia di condividere con voi alcune riflessioni e alcune foto che mettono in prospettiva la storia dei dojo della nostra scuola. Con una selezione di foto che illustrano come i dojo siano allo stesso tempo luoghi, spazi concreti, carichi di anni di pratiche quotidiane. Luoghi supportati dall’energia e dalla direzione data dal nostro Sensei Régis Soavi da più di quarant’anni. E allo stesso tempo luoghi che si costruiscono per volontà propria dei praticanti, da loro stessi e per loro stessi.Iniziamo guardando com’è ora il locale a Pescara, e anche se  può sembrare scoraggiante, guardando più in basso com’erano i dojo prima dei lavori dei praticanti, vedrete che va tutto bene!

Per accompagnare questo sguardo sui dojo che hanno già attraversato la fase della creazione, ecco alcune riflessioni tratte dal mio libro “Le maître anarchiste, Itsuo Tsuda“.Estratti dal capitolo 8 Creare delle situazioni: “Itsuo Tsuda, anche lui, come Chuang-tzu, il mamá kogui e i situazionisti, creerà “situazioni” che permettono e favoriscono la scoperta della filosofia del Non-Fare. Non è proprio certo che l’abbia pensata in questi termini, ma mi sembra interessante segnalare il suo attaccamento a certe cose che mostra l’importanza che attribuiva,il potere che dava a queste possibilità, a queste situazioni, motivo per cui ne racconterò alcune per metterle in evidenza.” […]”Quando arriva a Parigi, Itsuo Tsuda vuole subito creare un dojo. Per il lavoro che viene a fare in Occidente ha bisogno di questo strumento, di questo luogo: un dojo, non una palestra o un circolo. Potremmo fermarci all’idea che Itsuo Tsuda, un giapponese di quasi sessant’anni, sia un tradizionalista e che il dojo sia un concetto culturale giapponese, ci sono dojo per il kyudo, il kendo, il karate, ecc., tuttavia, Tsuda non crea dojo giapponesi nel senso stretto del termine. Infonde in questi luoghi una funzione di autoemancipazione.” [?]

Yuki Ho Tolosa, dal 1983

“Il dojo non è un luogo di consumo, e nemmeno solo di pratica personale. In Giappone è inseparabile dalla nozione di uchideshi, allievi interni che vivono in loco e si occupano di tutto, spazzano, preparano il bagno del maestro, cucinano, fanno giardinaggio, ecc. Questo insegnamento per impregnazione, attraverso la condivisione di una vita collettiva con la famiglia del maestro ma anche con gli altri uchideshi è un elemento forte della cultura giapponese. Il principio di base è che è lo studente che vuole imparare e non l’insegnante che cerca di trasmettere. Si parla in Giappone di “rubare l’insegnamento”: l’intero posizionamento è quindi ribaltato.”

Tenshin Parigi, dal 1985

“Di questa cultura, Itsuo Tsuda manterrà l’aspetto “insegnamento totale” dell’esperienza vissuta e del lavoro comune. Ovviamente non ci saranno uchideshi, Tsuda non desidera certo scimmiottare le tradizioni, fare del giapponesismo. Al contrario, estrae l’essenza di queste tradizioni e, sebbene spogliate dei loro colori locali, cerca come riutilizzarle nel mondo contemporaneo. Il dojo è aperto tutti i giorni, una seduta si svolge alle 6:30 del mattino e due sere a settimana. Per tutto l’anno, senza alcuna interruzione, le sedute sono assicurate da Tsuda e dai praticanti stessi.”

Scuola della respirazione Milano, dal 1983

“Poiché il dojo è un luogo di sperimentazione individuale e collettiva, di pratica dell’autonomia, dove, come gli uchideshi, ognuno si fa carico dei diversi aspetti della vita quotidiana nel dojo: discutere, decidere, fare piccoli lavori, fare giardinaggio, riparare, condurre delle sedute. Si tratta di uscire dalla logica dell’assistenzialismo e dalla “facilità” ad affidarsi agli esperti. Come sottolinea il filosofo Ivan Illich, gli individui hanno disimparato a riconoscere i propri bisogni e, “intossicati dal credere in un migliore processo decisionale, hanno difficoltà a decidere da soli e presto perdono fiducia nel proprio potere di farlo. (Ivan Illich, La convivialità, Red Edizioni, 2013)”Bodai Roma, dal 2004“Il dojo non accoglie clienti. Tsuda rifiuta qualsiasi presa in carico delle persone, ogni passo deve essere un atto individuale di presa in carico di se stessi.Così, tutti  al dojo sono allo stesso tempo a casa propria e a casa d’altri. È il luogo dell’individuo e del collettivo”.

Akitsu Blois, dal 2007

Estratto dal capitolo Coltivare la propria sensibilità e attenzione “Per fare a meno di regole, leggi e leader, occorre una grande attenzione, rivolta tanto verso se stessi quanto verso la collettività. Come hanno riassunto perfettamente gli insorti del Comitato Invisibile: “Improvvisamente, la vita cessa di essere suddivisa in sezioni collegate. Dormire, lottare, mangiare, curarsi, divertirsi, cospirare, discutere, fanno parte di un unico movimento vitale. Non è tutto organizzato, tutto si organizza. La differenza è evidente. Uno richiede la direzione, l’altro l’attenzione.” Questo stato di deconcentrazione e insensibilità che porta alla mancanza di attenzione è, molto spesso, ciò che fa fallire molte esperienze comunitarie. Siamo così abituati a seguire gli ordini, regole e di essere assistiti in tutti gli aspetti della nostra vita che non ci rendiamo nemmeno conto del grado di sensibilità e attenzione necessari per vivere “l’ordine meno il potere” come proposto dall’anarchismo.” (estratto da “Le Maître anarchiste, Itsuo Tsuda”)Il Dojo, così pensato, è un ottimo strumento per riscoprire le nostre capacità di attenzione, sensibilità e organizzazione.

Ryokan Ancona, dal 2005

Nella nostra scuola ci sono altri due dojo che hanno richiesto meno lavoro ma che meritano di essere presenti in questo articolo 

Zensei, Torino dal 2013
Katsugen kaï, Amsterdam dal 2005