Essere umili, certo, ma fieri di sé

di Régis SoaviSembra che oggi il senso della parola fierezza si sia appesantito in modo fuorviante, la fierezza è diventata quasi uno dei maggiori difetti in certe classi della società. Si usa erroneamente la parola fiero per definire “uno che si crede superiore agli altri e lo manifesta con il suo comportamento”, mentre in questo caso spesso si tratta, a mio avviso, semplicemente di un inconscio presuntuoso.

La stima di sé

Troppo spesso confondiamo l’autostima, che è eminentemente rispettabile, con la vanità, che è una forma di autocompiacimento che può solo farci del male. Diremo invece di una persona “che si suppone consapevole dei suoi limiti, delle sue debolezze, e che lo manifesta con un atteggiamento volutamente modesto e schivo” che è umile, anche se questa umiltà è fittizia e serve solo a ingannare il suo entourage. Il mondo politico è sempre stato pieno di questo tipo di usurpazione appropriandosi dell’uso dei termini essere umili o essere fieri. L’umiltà implica un rapporto sociale, è necessaria di fronte agli altri per mantenere un equilibrio esterno tanto quanto quello interno, ma non deve nuocere al nostro stato di coscienza e alla forza che ci guida nella nostra vita.

L’amor proprio

Inizia alla nascita nella sua forma naturale chiamata egocentrismo e di cui non bisogna aver paura nonostante le raccomandazioni di certe scuole di pediatria o di pedagogia, perché è indispensabile per la sopravvivenza del bambino piccolo. Molto velocemente il bambino prende coscienza di essere ed è orgoglioso di essere ciò che è, di ciò che può fare o dire. Partecipa al mondo non come creatura dipendente ma già come creatore di ciò che lo circonda, per lui il mondo “gli appartiene e vuole goderne”. La forza della vita che fatica a contenersi in questo piccolo corpo lo spinge ad esercitare le sue capacità in tutte le opportunità che troverà alla sua portata, e anche oltre. Se non è spezzato dall’educazione, manterrà un senso di quello che viene chiamato amor proprio, che a mio modesto parere è la fierezza. L’amor proprio ci spinge ad andare al di là delle nostre capacità, a cercare più lontano più in profondità, a scoprire, per essere fieri di sé, ciò che ci riempie di soddisfazione e allo stesso tempo stimola il desiderio di superare se stessi proprio di tutti gli esseri viventi.Essere fieri dei propri talenti è l’opposto della presunzione ed essere consapevoli di ciò che si è capaci di fare non è vanità. Troppe volte ho visto e ricevuto persone al dojo che non erano più consapevoli delle loro reali capacità e allora ne hanno inventate di fittizie per sopravvivere in un mondo dove solo i più forti sembrano avere il sopravvento. Rovinate, aspettano ordini o almeno esempi da poter imitare per diventare ciò che non saranno mai nella realtà, ma per reclamarlo davanti a chi è più debole di loro.

Un umile dojo

È in uno di quei vecchi quartieri di Parigi che ha mantenuto un’atmosfera calma e al contempo popolare che, da parigino all’antica, ho la fortuna di insegnare ogni mattina.Situato come in una nicchia al primo piano di un edificio che un tempo era industriale, il dojo Tenshin si trova nel ventesimo arrondissement di Parigi. Ci si accede dopo aver attraversato una porta che da un lato si apre su un piccolo vicolo cieco, e dall’altra parte su un giardinetto che bisogna attraversare prima di salire le scale. Nessuna insegna luminosa appariscente, niente grandi foto che vantano le virtù del luogo e propongono fitness e/o cultura fisica e marziale. Adiacente alla vecchia petite ceinture (ferrovia in disuso che circondava Parigi), vicinissimo a uno di quei ponti ferroviari che non esistono quasi più, ha il fascino dei luoghi nascosti che ci piace scoprire durante una passeggiata in città in un giorno di sciopero o di vacanza quando la città è svuotata. Quando si entra nel dojo tutto cambia; anche se le finestre dell’angolo caffè si affacciano sul giardino, anche se appena le si apre risuonano i canti degli uccelli, lo spazio dei tatami si presenta come un bozzolo di oltre 200 mq, illuminato sia dal cielo sia da ventagli luminosi posti a soffitto. Frutto del lavoro dei praticanti che ne hanno assicurato la ristrutturazione oltre che la manutenzione quotidiana, il dojo per noi ha un fiero aspetto. In questo luogo di lavoro del corpo e sul corpo, nella dolcezza e nella concentrazione come nella resistenza e nella tenacia, ogni persona che partecipa alle sedute di Aikido o Katsugen Undo1 si sente fiera di esserci, senza alcuna presunzione, ma con il piacere di vivere ciò che il mondo del quotidiano ha reso difficile o addirittura impossibile per alcuni. Tutto è da riconquistare e se il desiderio c’è, il luogo vi si presta. Se il dojo si presenta così umilmente (è il suo lato Ura) è anche per permettere l’incontro con persone semplici e coraggiose che sapranno scoprirne l’interesse (il suo lato Omote) al di là delle apparenze.

O sensei Ueshiba, che postura magnifica!

Umiltà e postura

Preservare l’umiltà per permettere di ritrovare la fierezza di essere ciò che si è realmente non manca di interesse e spesso si presenta come una necessità di fronte a ego smisurati e di costruzione recente, spesso dovuti all’educazione dei figli di una parte privilegiata della società. Di solito le persone umili sono rappresentate curve, piegate in due, a testa bassa, questo in realtà è solo un segno di sottomissione o di rinuncia. La respirazione in questo caso è bloccata o sibilante e tutto il corpo tenderà ad andare verso l’inganno se non vi è già. Umiltà e umiliazione sono due cose diverse, non si diventa umili attraverso l’umiliazione, la reazione più sana sarà la ribellione, poi ci drizzeremo per mostrare le nostre capacità, anche nelle avversità. Quando il corpo è dritto, lo scheletro è in equilibrio e non più schiacciato dal peso delle carni, ciò che lo circonda lo mantiene in questa postura, animato da questa energia vitale che è difficile definire ma che conosciamo e riconosciamo. Ricordo ancora oggi la postura di Tsuda sensei che esce dal dojo dopo la seduta mattutina con la sua borsa per fare un po’ di spesa prima di tornare a casa. A chi non lo conosceva sembrava un uomo ordinario, un asiatico che sceglieva la frutta in rue Saint Denis o comprava un giornale, per chi sapeva “vedere” emanava da lui una presenza, un modo di muoversi, diverso da tutti quelli che lo circondavano. Con la schiena dritta e la testa allineata, si poteva dire che avesse un portamento fiero; anche senza sapere nulla della postura si poteva sentire la sua forza interiore, la sua “aura”.

Tsuda Itsuo sensei. Il corpo si raddrizza e si distingue in mezzo alla folla.

Uno

Tutti i maestri che sono stati allievi di Morihei Ueshiba, sotto la cui direzione ho avuto la possibilità di imparare e di allenarmi, come Noro sensei, Nocquet sensei, Tamura sensei, avevano un’idea molto alta di ciò che era stato loro trasmesso e si sentivano investiti di una missione che non potevano tradire. Proprio come altri come Sugano sensei, Hikitsuchi sensei, Kobayashi sensei o Shirata sensei che ho incontrato durante gli stage, tutti avevano una grande semplicità, un grande rigore ed erano fieri di trasmettere la nostra arte con l’umiltà che si addiceva a ciascuno di loro, sapendo chiaramente essere “fieri e umili” allo stesso tempo.Ovviamente Tsuda sensei, che è stato il mio maestro per dieci anni, faceva parte di questa tradizione e sapeva benissimo come metterci al nostro posto quando occorreva, spesso usando l’umorismo o la derisione perché aveva l’arte di guidarci senza sminuirci, ma piuttosto valorizzando le nostre qualità senza mai lasciarcene inorgoglire.Ecco un testo di Haruchika Noguchi2 tradotto da Tsuda sensei, che a prima vista e per chi non conosce l’autore può sembrare estremamente presuntuoso, ma può anche darci una piccola idea della visione di un maestro riconosciuto come il più prestigioso nella sua arte.«Riflessione sulla vita integraleIo sono.Io sono il Centro dell’Universo.In me risiede la Vita.La Vita non ha né inizio né fine.Attraverso me, si estende all’infinito, attraverso me, si collega all’eternità.Come la Vita è assoluta e infinita, anch’io sono assoluto e infinito.Se io mi muovo, l’Universo si muove. Se l’Universo si muove, io mi muovo. “Io” e l’Universo siamo Uno indivisibile, un corpo e un pensiero.Io sono libero e senza barriere. Sono distaccato dalla vita e dalla morte. È così, ben inteso, anche per la vecchiaia e la malattia. Io, ora, realizzo la Vita e dimoro nella quiete infinita ed eterna.La mia condotta nella vita quotidiana rimane imperturbabile e inalterabile. Questa convinzione è incorruttibile ed eternamente inattaccabile.Uhm! Va tutto bene.» (Traduzione di Itsuo Tsuda, Uno, Yume Editions)Tsuda Sensei aggiunge nel suo libro alcune osservazioni: “Questo pensiero forse non ha bisogno di commenti, per quelli che ne sentono direttamente l’impatto. Eppure mi rendo conto dell’enorme distanza che separa questo pensiero dal pensiero occidentale che sottende la struttura mentale dei civilizzati […]Io, sono. Questa affermazione è semplice, profonda e sublime.A differenza di Cartesio, Noguchi non ha bisogno di provare la sua affermazione. Non si trova in una posizione di “distanza”, ma è “dentro” rispetto alla propria affermazione. Questa ci può imbarazzare per la sua stessa semplicità […] Ma nessuno osa dire: “Io sono”, punto.Io sono il Centro dell’Universo. Dal punto di vista occidentale, non può essere che la parola di un pazzo. Noguchi è un megalomane, un fanatico che si crede Dio? […] Tuttavia, ciò che dice deriva da una banalissima constatazione: io sono l’unico a sentire il valore diretto della mia esperienza. Da questo punto di vista, chiunque può riconoscere di essere egli stesso il Centro dell’Universo. A ciascuno il suo universo.Universo mentale? Universo soggettivo? Quanti Universi ci sono nell’Universo?» (Itsuo Tsuda, Uno, Yume Editions, 2020)

Calligrafia di Itsuo Tsuda. La vita. “Io sono. Io sono il Centro dell’Universo. In me risiede la Vita.”

Avere un bel portamento

Guardiamo la postura di O sensei quando cammina o quando innaffia i fiori: che postura magnifica! Allo stesso modo, rimango senza parole quando guardo come si muove Shimada Teruko sensei, esperta di Jikkishin-kage-ryu.

Shimada Teruko senseï.
Uomini o donne senza distinzione mostrano una certa nobiltà nella presenza davanti agli altri, così come semplicità e modestia nella loro intimità. Fino a non molto tempo fa si valorizzava la prestanza, che se non veniva evidenziata per nascondere difetti, debolezze o anche mediocrità o addirittura falsità, doveva riflettere l’interiorità, l'”anima” della persona. Molti valori sono ormai intesi come negativi o assurdi, si parla di arroganza, orgoglio, stupidità, infantilismo, ecc., dove il mio modo di intendere il mondo vedeva audacia, cortesia, intelligenza o brio, come ad esempio nel monologo del “no grazie” tratto dalla commedia di Edmond Rostand “Cyrano de Bergerac”.Le arti marziali e più in particolare l’Aikido ci riportano a noi stessi, indipendentemente dall’educazione che abbiamo ricevuto, è la possibilità di ricentrarsi e allo stesso tempo di misurare la nostra indipendenza come pure la nostra dipendenza da tutto ciò che ci circonda. È l’occasione, grazie al contatto con gli altri, di ritrovare le nostre radici vive, seppur invisibili, ma non immateriali, o anzi di una materialità non ancora riconosciuta come misurabile. Con la pratica regolare, il corpo si raddrizza e, senza essere eccezionale, si distinguerà in mezzo alla folla come un elemento carico e degno di interesse.Volete ricevere i prossimi articoli? Iscriviti alla newsletter:

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Articolo di Régis Soavi pubblicato in Self e Dragon Speciale n° 14 nel mese di luglio del 2023.Note:1) Katsugen Undo (in italiano Movimento Rigeneratore): pratica che permette la normalizzazione del corpo grazie all’attivazione del sistema motorio extrapiramidale (sistema involontario).2) Haruchika Noguchi (1911-1976), fondatore del Seitai, di cui I. Tsuda seguì l’insegnamento per più di vent’anni.