Di Régis Soavi
Affrontare il tema omote-ura nell’Aikido mi evoca immediatamente yang-yin ( in giapponese yo/in).Ciononostante in occidente la tendenza generale è di percepirlo in maniera manichea; si oppongono l’uno all’altro, si dividono tra il luminoso e l’oscuro, si categorizza, si dice positivo e negativo, oltre a tutti i riferimenti che questo ci fa tornare in mente, scolastici o anche sessisti. È molto facile, abbiamo delle abitudini, non ci pensiamo neanche.
Si rappresenta il Tao disegnato a due dimensioni, o meglio sotto forma di sfera dove lo yin e lo yang si compenetrano, ma in realtà ognuno resta al suo posto: tu, io, lui, l’altro.Si disserta filosoficamente dell’uno o dell’altro, si dimenticano i grandi pensatori cinesi: Lao Tsu, Chouang Tseu, Li Tseu, o Sun Tse, per citare i più conosciuti.Il nero o il bianco, lo yin o lo yang. Ed il grigio cos’è?Se si resta in un pensiero dualista, è un miscuglio dei due.Il mio Maestro Itsuo Tsuda non citava praticamente mai omote o ura, del resto dava raramente un nome giapponese a ciò che faceva o mostrava. Perfettamente bilingue, ha sempre preferito il francese per le sue spiegazioni, particolarmente nei suoi libri che scriveva di getto, senza quasi alcuna correzione.Sapeva guidare la nostra sensibilità e farci sentire grazie alla pratica del Katsugen undo (Movimento rigeneratore), dello yuki, e soprattutto attraverso il suo tocco o anche la sua presenza silenziosa, questo mondo non dualista che era venuto a farci scoprire.
Scoprire con il corpo
Aikido, è scoprire con il proprio corpo, voglio dire fisicamente, concretamente, sentire scorrere i fluidi seguendo i circuiti a tendenza yin o yang.
Quando durante una seduta si cita omote o ura, si cita generalmente solo l’insieme del movimento, la sua tendenza, eventualmente il suo finale.E’ la respirazione che può aiutarci a comprendere meglio, sentire, di cosa si tratta. È meglio cominciare lavorando con un ritmo piuttosto lento, se si va troppo veloce all’inizio è grande il rischio di non riuscirci. Ci si concentra sulla respirazione, si segue l’inspirazione, l’espirazione, ci si muove concentrandosi sulla sensazione interiore, si può lavorare su esercizi di questo tipo con un partner chiudendo gli occhi e rimanendo concentrati sul centro. Le braccia per esempio si aprono o si chiudono indipendentemente dalla nostra volontà, obbediscono ad una necessità che nasce dallo yin o dallo yang.
Se si vuole praticare l’Aikido come pratica del Non-Fare, tutto il lavoro si fa al livello del sentire, si scava, si approfondisce e poco a poco qualcosa si muove in noi; ed un giorno ci si rende conto che si è superato qualcosa. Questo muro che ci bloccava, che rendeva la nostra tecnica dura o incerta, e quindi artificiale, completamente fuori dalla realtà, è caduto. È in quel momento che ci si sente liberi, così liberi. La ricerca allora prende tutt’altra piega. La percezione dello yin, dello yang diventa un’evidenza. È qualcosa che ho difficoltà a spiegare a parole, perché tutto diventa semplice: i gesti, gli spostamenti, non c’è più mentalizzazione. E’ diretta a partire dal centro, e inoltre, una grande dolcezza si instaura in noi, una dolcezza che può essere yin o yang, ma che in ogni caso è molto forte, una dolcezza di una grande potenza che agisce e sa agire in armonia con il partner o l’avversario, se eventualmente le circostanze ci hanno portato in una situazione tale che colui che si trova di fronte a noi si comporti così. La tendenza durante l’inspirazione è piuttosto verso l’apertura e dunque yin; l’espirazione chiude il corpo e la sua tendenza è yang. Con la sola respirazione già si possono sentire, se si è attenti, lo yin e lo yang, ma non sono che l’espressione e la direzione di una energia che si è materializzata.La parte visibile, quella che il corpo fisico potrà eventualmente utilizzare, è pronta.Nel corpo la parte anteriore, il davanti, è yin e la schiena è yang, anche se le gambe sono yang davanti e yin dietro: questo è ammesso in tutte le scuole, ma il passaggio del ki dall’uno all’altro è raramente esplicitato nelle arti marziali, se ne parla spesso solo in generale.Il mio incontro con il Itsuo Tsuda, la pratica del Katsugen undo, la scoperta del Seitai del Maestro Haruchika Noguchi sono state determinanti nella mia ricerca e mi hanno permesso una comprensione del corpo, del suo movimento che mi era mancata fino ad allora. Certe zone che erano rimaste vaghe nell’insegnamento dell’Aikido, come l’hara, sono diventate estremamente precise nel Seitai. Si può per esempio verificare lo stato dei «tre punti del ventre». Il primo che deve essere yin, il secondo che deve essere neutro, ed il terzo yang, bello positivo e reattivo.«Lo scopo del Movimento rigeneratore è di regolarizzare il nostro organismo, di seitaizzarlo.Regolarizzare il nostro organismo non è necessario solo per essere in salute. Qualunque sia il genere di attività che si eserciti, che si tratti di fare calligrafia, di disegnare o di praticare le arti marziali, bisogna prima di tutto cominciare col regolarizzare il nostro organismo, altrimenti si rischia di mancare il bersaglio»1
Non-fare e non dualismo
Nell’Aikido lasciamo il ki sorgere dal seika tanden, dall’hara (3° punto del ventre nel Seitai), e la sua tendenza è yang perché risulta dalla forza che viene dalla schiena, forza che non si esprimerà nelle spalle, come si vede troppo spesso, ma naturalmente grazie al koshi.Il punto di passaggio di questa forza, di questo ki diventato yang, è la 3° vertebra lombare che è appunto in posizione yin nella colonna vertebrale. Se si visualizza la respirazione addominale si constata che l’inspirazione yin gonfia l’addome e prepara l’atto che sarà yang, nello stesso tempo, il ki discende lungo la colonna vertebrale ed irriga l’insieme del corpo.2Quando il ki esce direttamente al livello del centro la sua tendenza quindi è yang, ma in funzione del circuito che prende si esprimerà sotto forma yin o yang. Se segue i circuiti interni del ventre, delle braccia, la parte anteriore del corpo, allora diventa yin, altrimenti la sua espressione è yang. La forza che ne risulta sarà yin o yang anche in funzione del momento in cui viene utilizzata.Perché ovviamente, in un mondo non separato, anche il tempo fa parte di questa unità. Anche se si può rallentare o accelerare il momento di un impatto per esempio, così da trovarsi in modo molto preciso nel posto giusto, al momento giusto, con la respirazione giusta ed il ki giusto, tutto ciò non accadrà se non grazie alla coordinazione che riuscirà a fare il nostro «sistema involontario». È precisamente qui che l’insegnamento di Itsuo Tsuda ha apportato degli elementi decisivi. Perché, facendoci entrare nel mondo della sensazione, insistendo sul Non Fare, e permettendoci di scoprire il non dualismo, ci ha dato delle chiavi che possiamo utilizzare ancora oggi, perché sono alla portata di tutti, come i suoi libri testimoniano.
Yin e yang
Se si scompone un movimento come ryo te dori ten chi nage nella forma omote, uke arriva con una forza yang. È nel pieno dell’espirazione, tori lo riceve alla fine del suo yang, lo yin è già cresciuto in lui, è diventato incomprimibile, crescerà ancora e andrà a sommergere uke. Poi è la volta dello yang di crescere, lo si constata per il fatto che le braccia si girano, questa volta è la linea di demarcazione tra yang e yin che passa dal basso verso l’alto. Ma per uke il movimento è cominciato all’inizio dell’ispirazione, non potendo resistere si stacca e cade come quando un frutto è maturo e cade nella mano. Nella forma ura, tori deve aspettare perché lo yang è ancora troppo potente, gira per deviare questa forza ma appena ricostituisce la sua forza yin, può utilizzare allora lo yang per ripartire in omote o lasciare che lo yin continui il suo lavoro fino all’avvolgimento totale dell’uke.
Lo stesso nel kokyu ho, ci sono differenti modi di fare: o si proietta subito la forza yang, oppure si lascia crescere la forza yin per utilizzare alla fine lo yang. Anche lì tutto dipende dalle condizioni, dal momento, dal partner.La forza yang è più diretta, più dirigista rispetto allo yin, ma è facile che ci indurisca. I padri troppo autoritari conoscono questo problema con i loro figli e la rottura è spesso consumata al momento dell’adolescenza.La forza yin è avvolgente, dolce ma alle volte mal utilizzata, come fanno certe madri. Rischiano di imprigionare il bambino e faticherà ad uscire dall’impronta e dal nido famigliare.Idealmente lo yin quando finisce permette lo spiccare il volo del luminoso, dopo il lavoro interiore, “oscuro”, della preparazione che è l’infanzia, un vero distacco senza rottura, come il frutto maturo che si stacca dall’albero al momento giusto. Lo spiccare il volo del luminoso è la libertà senza pensiero. La possibilità di essere il proprio TAO. Semplicemente la realizzazione dell’essere.
Le sfere del corpo
Il nostro corpo si presenta tra l’altro con una superficie esterna: la pelle, è in qualche modo la sfera materiale. Ma noi non siamo limitati dalla pelle, la pelle delimita solamente le yin interno dallo yang esterno, ura e omote. Questa superficie è una sfera che ha preso la forma di essere umano.Al di là di questo esiste un’altra sfera che ognuno può sentire istintivamente. Si presenta piuttosto sotto la forma di un uovo deformabile in funzione dei bisogni. Questa sfera è spesso rappresentata dalle religioni, viene chiamata Mandorla o Aura. È la rappresentazione visuale di una realtà avvertita da popoli interi, e mantenuta viva nelle arti marziali. Anch’essa è yin all’interno e yang all’esterno con un limite estremamente preciso, si può così constatare che ciò che è yang rispetto alla pelle è yin rispetto alla sfera energetica.
Irimi e tenkan
Quando si fa irimi per esempio, si fa entrare uke nella nostra sfera yin, gli si dà sollievo del suo ki yang in eccesso diventato duro, rigido, si normalizza il suo terreno, gli si permette di ritrovare un equilibrio interno. Poi in irimi nage si finisce con un movimento yang, che provocherà in lui il desiderio di cadere per evitare il peggio. D’altra parte in tenkan le due sfere si sfiorano e si compenetrano solo al livello della mano. Le superfici yang spinte, sostenute dallo yin interno, diventate forti, si affiancano, si respingono e scivolano l’una contro l’altra.Se tori fa scivolare il gomito entrando nella sfera di uke, allora il suo movimento yin crescerà fino a sommergere uke che, anche in questo caso, cadrà per evitare gli inconvenienti di questo rovesciamento di situazione.Nella nostra scuola, la prima parte della seduta di Aikido è una pratica solitaria. Uno degli esercizi consiste nel sollevare le braccia con le palme rivolte verso il cielo, poi nell’abbassarle. Itsuo Tsuda ci diceva: «Sollevate il cielo poi respingete la terra.» Ci sono diversi modi di fare questo esercizio. Se si cerca di sollevare con lo yang le spalle si contrarranno, se si cerca di respingere la terra con lo yin si resterà incastrati al centro del movimento. Alzare le braccia facendo corpo (yin) con il cielo e scendere in armonia con la terra (yang), era questo tipo di lavoro, di visualizzazione, che ho iniziato con il mio Maestro e che continuo da più di quarant’anni.Rendere cosciente la circolazione del ki, migliorare la nostra percezione di questo movimento, di questa sfera di energia, di cui molti parlano ma che pochi percepiscono chiaramente, è così che concepisco il mio lavoro attualmente.Permettere la normalizzazione del terreno delle persone che vengono al dojo, dare loro gli strumenti visibili o invisibili, consci o inconsci per permettergli di giungere all’indipendenza, all’autonomia, alla libertà interiore.Per questo la presa di coscienza di omote-ura, in quanto espressione dello yang-yin, è a mio avviso indispensabile.
Articolo di Régis Soavi sul tema Omote-Ura, pubblicato in Dragon Magazine (speciale Aikido n° 11) nel mese di gennaio del 2016.
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- Estratto della conferenza Regolarizzare l’organismo di Noguchi Haruchika sensei, tradotta in francese da Tsuda Itsuo (trad. it. Il triangolo instabile, capitolo XIX).
- Il Maestro Noguchi Haruchika preconizzava d’altra parte l’esercizio Sekitsui Gy?ki – ????? o Respirazione attraverso la colonna che si fa a partire dai “secondi punti della testa” e che permette la normalizzazione del terreno (dell’insieme del nostro corpo, beninteso in modo unitario, fisico, mentale, ecc).
- Foto di Régis Sirvent e Jérémie Logeay