di Régis SoaviSe traduciamo Zanshin con “mantenere l’attenzione dopo un combattimento o dopo una tecnica”, anche se rimaniamo nella tradizione marziale non raggiungiamo il suo significato profondo.
Tenshin: il cuore del cielo.
Nel termine Zanshin ci sono due kanji: ? (càn o zan), ciò che resta, che permane, e ? (Shin o Kokoro). Se il secondo ha un significato conosciuto da tutti gli Aikidoka, mi sembra tuttavia necessario precisarne il valore poiché corrisponde a quello su cui possiamo basarci per trovare la strada della pienezza nella vita. Per Itsuo Tsuda Sensei un’espressione rifletteva e animava le pratiche che proponeva, sia l’Aikido che il Katsugen undo. Quest’espressione, “Tenshin”, egli l’aveva tradotta con «il cuore di cielo puro». Scrive: «la parola kokoro che ho tradotto con “cuore” è etimologicamente identica a quest’ultimo: l’organo centrale dell’apparato circolatorio. Tuttavia, l’accezione è del tutto diversa. Il “cuore” in francese è piuttosto il sentimento, mentre il kokoro in giapponese non è esattamente il sentimento, né lo spirito, né il pensiero. È qualcosa che sentiamo dentro di noi, si avvicina piuttosto al mind in inglese. Se si traduce con mentale o psichico, sarà ancora diverso. La ricerca di un kokoro che resta imperturbabile davanti a un pericolo imminente, che resta calmo in ogni circostanza, è lo scopo principale che si impone a chi cerca di raggiungere la perfezione nel mestiere delle armi»(1) «La vostra mente deve essere sgombra da ogni pensiero, buono o cattivo. Questo stato d’animo è paragonato al Cielo puro – Tenshin».(2)
L’Aikido: reimparare la libertà
Dai nostri primi passi sui Tatami, sorge la concentrazione. È sufficiente il saluto in direzione del Tokonoma perché il nostro corpo reagisca, che lasci questo stato che potremmo definire quotidiano per entrare in quello molto particolare di Zanshin. È fondamentalmente uno stato naturale, uno stato in cui la nostra animalità biologica (nel buon senso del termine) riemerge. Tutta la tradizione che ci viene da O Sensei e che ci è stata trasmessa dal suo allievo diretto Tsuda Sensei è essenziale per comprenderlo. È nella maniera in cui sono eseguiti gli esercizi come la vibrazione dell’anima, i movimenti del rematore, così come tanti altri, che generalmente sono a torto assimilati a un riscaldamento, che ci rendiamo conto della loro importanza. È tutta l’attenzione accordata alla respirazione che ci permette di sentire a livello fisiologico la circolazione del Ki e ci richiama verso questo stato di concentrazione che è Zanshin. Tutta questa prima parte di una seduta ordinaria nella nostra Scuola è stata concepita per condurci, per portarci in un al di là di noi stessi, un al di là di ciò che molto spesso siamo diventati – dei tizi qualunque della nostra società. Se siamo sufficientemente attenti ne sentiamo immediatamente gli effetti. Evolviamo sui Tatami in un modo profondamente differente, quello che sentiamo, la nostra percezione dell’altro, degli altri, diventa al contempo più fine e più accentuata, più larga e più leggera. È giorno dopo giorno immergendosi in quest’ambiente che si può al contempo reimparare la libertà di movimento, un primo passo verso la libertà interiore, e sentire il nostro spazio, i nostri spazi. Ritrovare la sensazione del posizionamento delle forze che ci circondano, scoprire o riscoprire che niente è finito, né concluso, ma che tutto è legato, che Zanshin è un momento di un’eternità che segue il suo corso in tutte le direzioni.
La vita quotidiana: un rivelatore
Senza che ne abbiamo coscienza, senza che agiamo in modo volontario, il nostro corpo reagisce continuamente alle molteplici aggressioni che subiamo tutti i giorni da parte dell’ambiente che ci circonda. Che questi attacchi siano originati da batteri, da virus, o anche più semplicemente che siano dovuti alla qualità della nostra alimentazione, il nostro corpo risponde in maniera adeguata grazie al suo sistema immunitario, al suo sistema digestivo o qualsivoglia altro sistema in funzione del mal funzionamento. La risposta del corpo, se il terreno è buono, se ad esempio il nostro sistema immunitario è ben sveglio, non è limitata a qualche schermaglia qua e là, la mobilitazione del corpo è totale e il combattimento può essere a volte di una grande violenza. Una volta finito il combattimento, il corpo non si mette subito a riposo, non si riaddormenta tanto velocemente non appena il pericolo è passato (cosa che la nostra mente, lei, avrebbe perfettamente ammesso). Il nostro sistema involontario non allenta la propria attenzione, eliminando fino all’ultimo batterio, fino all’ultimo virus, o immobilizzandoli, bloccandoli in modo da renderli inoffensivi. E anche in questo caso non è tutto finito, resta vigile tenendo d’occhio tutto quel che succede, sereno ma attento al minimo movimento degli aggressori, quali che siano. Questo è lo stato di Zanshin naturale e involontario di un corpo che reagisce in modo sano e dunque esattamente all’opposto di un corpo apatico. Quando tutto è veramente finito la vita riprende per così dire il suo corso naturale. È fondamentale favorire il fatto che questo lavoro all’interno del nostro corpo possa compiersi in tutta tranquillità senza spaventarci al minimo dolore o alla minima reazione perturbante. Per chi si avvicina ad un’arte marziale – e l’Aikido in particolare – per la prima volta, gli obiettivi sono spesso molteplici, e vanno dal bisogno di muoversi a quello di difendersi passando per tutte le varianti, reali o fantasmatiche. La scoperta di Zanshin è parte integrante dell’insegnamento dell’Aikido, e la sua comprensione in profondità così come la sua estensione a tutti gli aspetti della nostra vita apportano una maggiore tranquillità di fronte agli eventi imprevisti e permettono di vivere più pienamente nel quotidiano. Perché in definitiva è nel quotidiano che si verifica l’utilità della pratica. Senza essere utilitarista è sempre piacevole vedere e verificare ciò che essa ci apporta nella nostra vita di tutti i giorni. L’attenzione, la concentrazione, come pure il piacere nella realizzazione di un lavoro non possono realmente esserci senza la condizione di presenza che chiamiamo Zanshin, e questo anche se non ne abbiamo coscienza.
Dei cerchi nell’acqua
Quando il bambino lancia un sasso nell’acqua calma di un piccolo stagno, rimane a guardare i cerchi concentrici che si sviluppano e si allargano a partire da quel centro che li ha creati. Se ha conservato la sua natura profonda, se essa non è stata distrutta dagli adulti, genitori, educatori o insegnanti che cercano di spiegargli la ragione scientifica del fenomeno, o che, affrettati per via del loro tempo così prezioso, accordano solo poca importanza a questo piccolo gioco insignificante, allora, immobile, contemplativo ma molto concentrato, aspetta che i cerchi si smorzino, che le loro vivacità iniziali diminuiscano sempre più finendo per non essere più riconoscibili, a fare corpo unico con il movimento naturale dell’acqua increspata, leggermente spinta dal vento. Anche questo momento così prezioso è Zanshin, è un istante che si potrebbe anche vedere come sacro, in cui il kokoro del bambino si calma, in cui ritrova la sua natura primordiale, la sua vera natura.
La scuola, o come rompere questo stato naturale
Tutto l’apprendimento scolastico mira a dare al bambino delle armi per il futuro, l’idea sulla carta è di certo buona ma la realtà è tutt’altra. Il sistema di valutazione, che sia in cifre o sotto forma di lettere all’anglosassone, è fonte di paura, o perfino di angoscia, sempre di inquietudine e produce, di fatto, più disastri che benefici. In questo caso non si lavora per il piacere di scoprire, e nemmeno per un risultato concreto, ma per un voto, per un apprezzamento che dovrebbero rappresentare il nostro livello nel sistema. Tuttavia non si contano più i pedagoghi che da più di un secolo hanno denunciato i misfatti di questo tipo di scolarizzazione e di questo modo di educazione. Tutto al contrario della condizione di Zanshin si attende il verdetto, il risultato dell’interrogazione scritta, del compito, dell’esame. Invece di sviluppare le capacità fisiche o intellettuali del bambino, si fa di lui un essere impaurito o più tardi un ribelle che aspira solo a uscire dal sistema nel quale si trova incastrato, per respirare anche solo un po’ più liberamente. Il danno tuttavia non è irrimediabile, è anche a questo che serve la nostra pratica, rimettere in piedi ciò che non avrebbe mai dovuto essere abbandonato né distrutto.
Prima finisci la scuola!
Chi non ha mai sentito questa frase, divenuta un leitmotiv genitoriale? Quali sono i genitori che hanno lasciato i loro figli andare nella direzione che avevano deciso da soli di prendere, sostenendoli malgrado la disapprovazione generale della famiglia e dell’entourage? In Francia la nuova legge sull’insegnamento (obbligo dell’istruzione dai tre ai diciott’anni) costringe i genitori, che a volte, perché un giorno hanno preso coscienza dei disastri che hanno subito durante la propria infanzia, hanno scelto l’insegnamento a domicilio, a rimanere malgrado tutto nel quadro dell’educazione nazionale. A far subire esami e test che i bambini devono superare pena il reinserimento in una scuola riconosciuta dallo Stato. Come permettere al bambino, all’adolescente, di scoprire, di riscoprire o di conservare quello che ha sempre avuto e che non avrebbe mai dovuto perdere: Zanshin, questo stato di concentrazione che perdura al di là dell’atto, questo stato istintivo che ci procura il piacere, la soddisfazione, e rafforza le nostre capacità permettendo loro di approfittare dell’esperienza acquisita in questo momento grazie a questo piccolo momento di pausa in cui qualcosa resta in sospeso? Il bambino, maschio o femmina, durante questo tempo incerto in cui tutto è possibile, sfugge al mondo delle convenzioni sociali, diventa forte, di questa forza che nessuno potrà sottrargli, si apre a una intelligenza che appartiene solo a lui e che non è opera di alcuna dottrina, di alcuna ideologia.
Ai-uchi, ai-nuke
A partire da Zanshin un mondo può ricostruirsi se non è stato distrutto o semplicemente rovinato. Nella pratica dello Zen è lo spirito di Zanshin che permane o lo spirito con cui si compie qualsiasi gesto che permette di ritrovare ciò che è stato perduto, nell’Aikido non è lo spirito combattivo che ci permette di vivere in armonia, bensì quello che c’è dietro, in profondità e che anima la nostra azione. Itsuo Tsuda Sensei ci racconta la storia di questo grande maestro del XVII secolo Sekiun Harigaya che aveva trovato la pace interiore. «Dopo esser stato a lungo tormentato dall’incertezza che regna quando ci si trova in una situazione estrema, in cui nessun ricorso a un precedente serve a giustificarci, trovò: “Vincere i più deboli, farsi battere dai più forti, e annientarsi a vicenda fra eguali, sono soluzioni senza uscita.” Anche se si ottiene la vittoria colpo su colpo, secondo lui non è altro che una bestialità. Non sono altro che combattimenti fra lupi o tigri. Si rimarrà sempre nella relatività, nell’opposizione. Bisogna uscirne per trovare la vera via. Come uscire dalla bestialità per trovare la vera via? Soprattutto in una situazione in cui il risultato non si misura con dei punteggi. La formula consacrata fino ad allora è stata “ai-uchi”, annientamento reciproco. A voler battere l’altro, cercando al contempo di conservare la propria integrità, si perde tutto, poiché all’ultimo momento si è vinti dalla paura che ci paralizza. Per uscire da questa dualità che ci tormenta, si decide di morire, abbandonando tutto ciò che abbiamo. “Quando avrai la mia pelle, avrò la tua carne. Quando avrai la mia carne, avrò le tue ossa”, questo è il motto degli spacconi. Si resta comunque nella bestialità. Dopo lunghi anni di meditazione, Sekiun trova la sua formula ai-nuke, passare al di là reciprocamente. La base di questa formula è la scoperta del kokoro, immutabile, eterno, nel quale non c’è l’annientamento dell’avversario, ma soltanto il rispetto dell’altro. Questo ai-nuke indica una posizione abbastanza vicina a quella dell’Aikido del M° Ueshiba. Se si affronta l’altro senza alcuna aggressività, è ai-nuke, ma se si mantiene la minima aggressività, è ai-uchi. Ma come si può svuotarsi da ogni aggressività quando ci si trova per l’appunto in una situazione di aggressività in cui si rischia di perdere tutto? Questa non-aggressività, se viene, non da un moralista o da un pacifista religioso, ma da qualcuno che ha conosciuto 52 combattimenti reali fino all’età di 50 anni, può avere un valore del tutto diverso.»(3) Zanshin è al centro del problema, perché si tratta di una presenza a se stessi come pure all’altro, senza aggressività, senza attese, senza ricerca di un qualsivoglia risultato. Zanshin non è né la fine né l’inizio di un movimento, non rappresenta il potere di uno dei due su un avversario, è un tempo, uno spazio-tempo non definito, ma che si realizza concretamente. Ritrovare il Kokoro dell’infanzia, ritrovare la concentrazione, la gioia semplice di sentirsi pienamente vivi, non accontentarsi più dell’aspetto superficiale della sopravvivenza che ci viene imposta dalla società, è la strada che ci viene proposta nell’Aikido. Anche se questa strada esige da noi rigore e determinazione, continuità e introspezione, io l’ho sempre sentita e vissuta come più facile dell’abdicazione, della rinuncia e dunque della disillusione o della passività.Volete ricevere i prossimi articoli? Iscriviti alla newsletter:
Articolo di Régis Soavi pubblicato in Dragon Magazine (speciale Aikido n° 27) nel mese di gennaio del 2020.1) Tsuda Itsuo, La voie des dieux, Le courrier du livre, 1982, p 61.2) Tsuda Itsuo, C?ur de ciel pur,Le courrier du livre 2014, p 91.3) Tsuda Itsuo, La voie des dieux, Le courrier du livre, 1982, p 63.Foto: Bas Van Buuren, Sara Rossetti