Mobilità e consapevolezza del corpo

di Régis SoaviUno dei punti di forza dell’Aikido risiede nella sua grande mobilità e nei suoi movimenti di rotazione. Le spirali che ne derivano formano una combinazione di forze centripete con la loro correlata, la forza detta centrifuga, creando una forma invisibile, che si dispiega costantemente: la sfera.Le tecniche che utilizzano un attacco da dietro ci offrono la migliore visualizzazione di questa sfera. La rotazione dei pianeti che girano su se stessi e nello stesso tempo attorno a una stella ci fornisce anch’essa un buon esempio di cosa vuol dire muoversi attorno a un centro. Per quanto riguarda i meteoriti che gravitano non lontano, rimbalzano sull’atmosfera, o aspirati dal centro del pianeta, vi si schiantano mentre la maggior parte delle comete si allontana.

Entrare nella sfera

Quando c’è rotazione attorno a diversi assi a volte mischiati, diventa difficile sapere dove sono i centri, dove sono le periferie, il davanti e il dietro. L’uno e l’altro possono presentarsi a turno, possono anche invertirsi. Diventano intercambiabili, sia nel caso di Tori come di Uke, ecco perché l’Aikido presenta dei grandi vantaggi sul terreno degli attacchi da dietro. Qualunque sia la misura o la dimensione del centro, è la sua densità che fa la differenza.O Sensei Morihei Ueshiba benché di piccola taglia era capace di proiettare un assalitore a grande distanza grazie al dispiegamento di questa forza centripeta che si trasformava in forza centrifuga poi in spirale e anche in sfera che rotolava lontano sui tatami. Come creare questa sfera con un centro così denso che renda possibile realizzare delle proiezioni di questa natura? Le prese da dietro ce ne danno l’opportunità. Tecnicamente cominciano sovente da un attacco di tipo Shomen uchi o Yokomen uchi che si trasforma in presa di uno o di due polsi da dietro. È lo spostamento di Tori che provoca la messa in pericolo di Uke e quindi questo quasi-obbligo, o in ogni caso questa opportunità, d’immobilizzare Tori. Benché per le esigenze d’insegnamento, all’inizio sia pedagogicamente necessario consentire che il compagno afferri la mano tesa da Tori, ciò diventerebbe incomprensibile dopo qualche anno di pratica. Penso che si possa anche dire che questo sarebbe contro-producente se si è veramente interessati alla nostra arte. Le prese dirette da dietro dei due polsi insieme sono difficili per Uke che preferirà in molti casi prendere le maniche del keikogi. Se il corpo è ben centrato è piuttosto facile uscire da questa difficoltà solamente restando concentrato sull’Hara e muovendo il Koshi. Le tecniche pertinenti scaturiranno del tutto naturalmente dalla postura dei due praticanti, dalle loro rispettive respirazioni, dalla loro capacità di cogliere l’opportunità o il momento, nonché dalla determinazione che metterà ciascuno di loro. Molto spesso se Tori segue il suo istinto vero e non presunto, se non cerca una tecnica o una soluzione predefinita ma agisce con spontaneità, fluidità e vigilanza, si sbarazzerà con facilità del controllo di Uke. Da un punto di vista pedagogico c’è anche un grande interesse perché le prese da dietro obbligano gli allievi a muoversi in maniera differente. In effetti, molti tra loro hanno la tendenza a lavorare in linea, un po’ come nel Karate, a tendersi per resistere alla pressione con dei Tai sabaki e degli spostamenti sempre più corti, la conseguenza inevitabile è che le loro tecniche diventano sempre più dure e, malgrado tutti i loro sforzi, spesso inefficaci.Régis Soavi ushiro waza

Immaginazione o visualizzazione?

C’è una grande differenza se la presa mira a una immobilizzazione “semplice” o a una aggressione “pura e dura” con i rischi che si possono correre. L’allenamento è un gioco di ruolo dove ognuno è al suo posto. Per ritrovare o acquisire le capacità necessarie al dispiegamento della nostra forza vitale è indispensabile lasciare la spontaneità agire grazie alle basi tecniche su cui si è lavorato. La visualizzazione ha tuttavia un posto primordiale. La visualizzazione e l’immaginazione sono due funzionamenti profondamente differenti. L’immaginazione è una produzione del cervello e impegna soltanto lui, mentre la visualizzazione ha il suo punto di partenza nel Koshi, è una produzione della nostra energia vitale e impegna tanto lo spirito quanto il corpo senza che ci sia l’ombra di una separazione tra loro. La visualizzazione è un atto di concentrazione primordiale, si riconduce a una sensibilità di tipo primitivo che sorge dall’involontario. Permette a Uke di rendere le prese o gli atemi più concreti e dunque a Tori di sentirli come sufficientemente pericolosi per reagire, anche se sono controllati. L’immaginazione, non porta ad alcuna azione, per lo meno immediata e non può essere percepita da Tori come nient’altro che un’attitudine o una postura senza alcuna forza né potenza, un movimento immaginario, un movimento sognato.

Lavorare lentamente

Per un lavoro preciso e una giusta comprensione della direzione come della potenza delle forze messe in movimento, la lentezza mi sembra indispensabile. Si può così aumentare l’efficacia della presa senza rischio per il compagno. Lavorare lentamente non vuol dire essere lento ma piuttosto lavorare al rallentatore. È importante non precipitarsi per afferrare un polso o una manica se così facendo ci si scopre, offrendo al partner l’occasione di piazzare un atemi o semplicemente di prendere il centro e in tal modo di destabilizzarci. Al momento di una presa in Ushiro katate dori kubi shime è molto importante far sentire che questa presa può trasformarsi in strangolamento ed è, già di fatto, uno strangolamento (a tal fine è sufficiente far pressione sulla parte alta dello sterno senza toccare il collo), ma soprattutto bisogna avere una buona postura, allo stesso tempo stabile e non rigida, così da non metterci in pericolo. È solamente grazie a questo che si può comprendere quello che questa presa ha di pericoloso. Se si procede troppo velocemente già dagli inizi, quando non si ha ancora la padronanza di questi attacchi, la presa sarà pasticciata e la tecnica rischia di trasformarsi in rissa da strada.

Se non ho visto, se non ho sentito, muoio

Uno degli attacchi più pericolosi che si possa subire è quello da parte di un abile avversario munito di coltello, in uno spazio ristretto, e per di più da dietro. Durante un incontro amichevole con un praticante di MMA organizzato dal Karate Bushido e precisamente a proposito di un attacco alle spalle con un tant?, Léo Tamaki formula questa frase: «Se non ho visto, se non ho sentito, muoio»(1). Si potrebbe dire che essa passi inosservata poiché è evocata come un’evidenza, ed esprime una realtà incontestabile. Tocca con mano l’essenziale, in quanto se non si può vedere dietro di sé si può sentire, presentire. È proprio per questo che nell’Aikido come in tutte le arti marziali è necessario ritrovare e sviluppare la nozione di Yomi (il fatto di percepire l’intenzione, che si può anche tradurre con intuizione). È indiscutibilmente un elemento essenziale della crescita dell’individuo attraverso la pratica. Si racconta peraltro un aneddoto concernente un samurai che si volta all’ultimo momento per salvare la propria vita eliminando un nemico che l’attaccava mentre era di spalle. Aldilà delle storie che non possiamo verificare noi stessi, è chiaro ancora oggi che le nozioni di Yomi o di Sakki (la volontà di attaccare, il Ki distruttore) sono ancora comunemente ammesse.(2) Riguardo soprattutto agli attacchi da dietro è più che essenziale coltivare e allenare la nostra sensibilità in questa direzione.Quando la vita è in gioco forze insospettate possono sorgere. È perfettamente impossibile allenarsi per far emergere queste forze, ma diversi tipi di allenamento nelle arti marziali possono essere considerati come una preparazione all’imprevedibile. Tutte le tecniche nell’Aikido, benché non portino questo nome, sono dei Kata e il loro scopo non è imparare a distruggere un avversario, un nemico, ma di svegliare l’individuo ancora addormentato in noi, per permettere a tutte le nostre capacità di essere attive appena ne abbiamo bisogno. Questo non vuol dire che manchino di efficacia, semmai il contrario, poiché se ben utilizzate possono essere più che temibili, ma ci sono poche possibilità che esse siano applicabili in modo identico fuori dal contesto del dojo, in quanto sono insegnate e praticate senza la tensione di un rischio reale, come per esempio un attacco per strada, e le condizioni della loro effettiva applicazione non sono tutte presenti. Basta un niente perché tutto vacilli.

La paura

La paura, se vogliamo uscir bene da una situazione, è un elemento determinante che può cambiare tutto in un senso come nell’altro. Se siamo invasi dalla paura, o se non ci siamo mai trovati di fronte a una situazione critica, o veramente pericolosa, è estremamente difficile sapere come potremmo reagire in caso di aggressione. Durante Randori che facciamo alla fine di ogni seduta nella nostra Scuola, indipendentemente dal livello, c’è sempre il rischio di prese o atemi da dietro. È quindi data grande importanza agli spostamenti, ma ancor di più alla sensazione di pericolo che può derivare da uno o più Uke, ed è grazie a questo che può svilupparsi un “qualche cosa” che sarà l’inizio di quello che potremmo chiamare intuizione. Non si tratta di una mistica, di una fiducia in un’energia celeste, ma piuttosto di una realtà che ognuno di noi conosce, spesso senza darle un nome, che trascende il quotidiano delle persone. Ma siccome si tratta di una realtà che, a priori, non padroneggiamo, è molto difficile, o addirittura impossibile farvi affidamento, rischiando, così, di vedere svanire le nostre capacità nel momento in cui ne avremmo più bisogno. Sviluppare le nostre capacità di percezione mediante l’attenzione è dunque uno degli obiettivi della pratica, ma quello che è soprattutto indispensabile, è che ciò deve consentire l’emergere di capacità intuitive realmente utilizzabili nella vita quotidiana e a maggior ragione nell’improvvisazione o nei casi gravi.

Azione e percezione

Le scienze cognitive hanno aperto un campo di studio che ci permette di comprendere numerosi aspetti dell’essere umano, tanto dal punto di vista del pensiero quanto dell’azione. Esse permettono ai praticanti di arti marziali quali noi siamo di dare dei nomi, di chiarire un insegnamento che potrebbe sembrare oscurantista. Noi possiamo rinobilitare quello che i nostri maestri ci hanno insegnato laddove tale insegnamento viene screditato in quanto visione mistica del mondo. Specialmente per quel che concerne le nostre percezioni laddove sono considerate come “extra-sensoriali” mentre esse non sono che il frutto del lavoro e dell’allenamento quotidiano di un’arte come l’Aikido.Oggi dei ricercatori ridefiniscono la percezione così: “La percezione è una forma di azione. Non è qualcosa che ci arriva o che si produce in noi. È qualcosa che noi facciamo”.(3) “La nostra percezione si esprime nel linguaggio delle potenzialità motrici”.(4)Riguardo a questo tema il filosofo M.B. Crawford(5) ha scritto: “La nostra percezione di queste potenzialità non dipende solamente dalla nostra situazione ambientale, ma anche dalla gamma di competenze pratiche che noi possediamo. Davanti a qualcuno che cerca una lite in un bar, un esperto in arti marziali percepisce la posizione dell’individuo in questione e la distanza che lo separa da esso come qualcosa che permette se necessario di portare alcuni colpi escludendone altri. È la pratica e l’abitudine che gli permettono di vedere il potenziale aggressore sotto questo angolo. Analogamente, percepirà senza dubbio l’arredamento circostante e gli oggetti a portata di mano come delle affordance(6) accessibili in caso di lotta. In altre parole, vede delle cose che sfuggono totalmente a una persona qualunque”.

Non trascurare nulla

Nella pratica dell’Aikido non c’è niente d’inutile. Però se si trascura l’aspetto percezione o il lavoro della sensibilità (quello che si confonde spesso con il sentimentalismo) a vantaggio della tecnica, rischiamo di lasciarci sfuggire gran parte della pratica. È vero anche il contrario, certamente, essendo entrambe indispensabili, è malgrado tutto possibile per ognuno non limitarsi a quello che conosciamo e accettare di andare verso quello che non conosciamo, quello che c’è da scoprire, quello che ci sembra a volte misterioso se non impossibile.

Itsuo Tsuda et Régis Soavi 1980
Itsuo Tsuda et Régis Soavi 1980

Itsuo Tsuda Sensei

Uno degli esercizi che ci faceva fare il mio maestro Tsuda Sensei, consisteva nella proiezione del nostro partner a partire dalla posizione seiza. Questo ci sembrava estremamente semplice all’inizio, perlomeno teoricamente, ma quando si trattava di metterlo in pratica ciò diventava un po’ più complicato. Tori è seduto immobile, dietro di lui, Uke afferra il keikogi all’altezza delle spalle. Si tratta quindi molto semplicemente di chinarsi come se ci si salutasse, senza forzare, senza tensione, un semplice saluto che, producendo un vuoto, aspira il partner: quest’ultimo, pur solidamente ancorato sui tatami, e malgrado il fatto che metta tutta la sua forza, non riesce a resistere e cade in avanti. Logicamente ogni volta che c’è una resistenza ci si tende, si contrae tutto il corpo, ci si arrabbia, si accusa il partner di non stare al gioco. Eppure ho visto tante volte Tsuda Sensei farci la dimostrazione con il sorriso. Ho provato a metterlo alla prova su questa tecnica, niente da fare, si chinava in maniera inesorabile con la più grande semplicità. Il suo segreto: la visualizzazione. Ci diceva spesso quando ci trovavamo impantanati nelle difficoltà: “Smettete di pensare in termini di avversità”, poi ce ne dava la dimostrazione, facendo cadere un allievo indicando un luogo da lui scelto e pronunciando questa frase magica: “Sono già là”, esprimendo così la realizzazione concreta della sua visualizzazione.Volete ricevere i prossimi articoli? Iscriviti alla newsletter:

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Articolo di Régis Soavi pubblicato in Dragon Magazine (speciale Aikido n° 28) nel mese di april del 2020.1) Léo Tamaki in Karaté Bushido Officiel. (13 dicembre 2019) GregMMA et Aikido [Vidéo]  https://www.youtube.com/watch?v=KoH4qjWKTfM&feature=emb_title2) Tema ampiamente trattato nella rivista Yashima – Art martiaux et culture du Japon, maggio 2019, n°4.3) Ava Noé, Action in Perception, MIT Press, Boston 2004, p. 1 et p. 1064) Matthew B. Crawford, Contact, Édition La découverte 2019, p. 805) Intuitività, potenzialità.