La presa, un’arte del distacco

di Régis SoaviLa presa in sé non è la difficoltà, è la coagulazione del ki nel polso, nelle braccia o intorno al corpo a porre un problema e a bloccarci, ed è attraverso il distacco che ce ne si potrà liberare. La visualizzazione è il modo di arrivare a questo distacco. Tsuda Sensei ce ne fornisce un esempio nel suo secondo libro, La via della spoliazione.

Ridiventare bambini

Aide-mémoire Itsuo Tsuda saisie
Aide-mémoire dessiné par Itsuo Tsuda, 1972 illustrant différents types de saisie
«L’Aikido per me è un’arte di ridiventare bambini. […] C’è bisogno di un’arte per ridiventare bambini senza essere puerili. […] Jean per esempio, mi afferra da dietro circondandomi con le braccia. Voglio abbassarmi per sedermi ma mi impedisce di farlo. Ha dei bicipiti che sono il doppio dei miei e pesa circa 90 chili. Non posso muovermi talmente mi stringe forte. Cosa si deve fare? Proiettarlo prima di sedermi? Ci provo, ma non ci riesco, poiché è troppo pesante e troppo forte.Allora divento bambino. Vedo una conchiglia meravigliosa sulla spiaggia e mi abbasso per prenderla. Dimentico Jean che continua a stringermi da dietro. (Tecnicamente c’è un dettaglio importante: porto avanti un piede per fare, insieme all’altro, due lati di un triangolo, poiché è più concentrato). C’è scorrere del Ki, che parte da me e va verso la conchiglia, mentre prima il Ki era bloccato sul pensiero di Jean. Jean con i suoi 90 chili diventa molto leggero e cade in avanti al di sopra delle mie spalle.Come può accadere che con idee diverse si ottengano risultati opposti, mentre la situazione rimane la stessa?L’idea di proiezione provoca la resistenza. Nel gesto del bambino, c’è la gioia di raccogliere la conchiglia che fa dimenticare la presenza dell’avversario.»*

Prendere, appropriarsi

Ci sono molti modi di afferrare, e ciò che è spesso determinante è l’intenzione che ci viene messa. Alcuni di questi modi possono essere considerati superficiali, persino inoffensivi, altri più pericolosi, come ad esempio quelli che presentano un carattere di appropriazione, altri ancora possono essere a volte insidiosi e insistenti.La scenografia che permette l’allenamento nell’Aikido considera che la presa sia il risultato di un atto che si manifesta con una certa aggressività. Questo atto è già di per sé stesso un tentativo di appropriarsi dell’altro per farne qualcosa, derubarlo, distruggerlo, distruggere la sua persona o la sua personalità, tralasciando i casi legittimi che non ci riguardano in quest’esempio. Si tratta di un abuso di potere, reale o irreale, manifesto o desiderato, sull’altro, questo altro che si suppone impossibilitato a reagire davanti ad una tale manifestazione di potenza.

Una presa di potere

Nel mondo animale il potere di un individuo o di un clan, all’interno di un gruppo più numeroso della stessa specie, corrisponde a dei criteri ben precisi, generalmente legati alla riproduzione, alla preservazione, o alla difesa di un territorio. Di conseguenza è sopportato e in fin dei conti accettato dall’intero gruppo; se insorgono tentativi di contestazione, dei rituali genetici o semplicemente ancestrali servono a chiarire la situazione.All’interno della società umana, e in particolare la nostra che si vorrebbe più moderna da un certo punto di vista, il bisogno di prendere il potere sull’altro mi sembra essere più un segno di disfunzione, se non di malattia, creato dal nulla dai comportamenti indotti dalla civilizzazione. L’incertezza del proprio potere, il condizionamento esercitato da tutto quanto è già organizzato all’interno della società, provocano una frustrazione e spingono l’essere umano a cercare di riconquistarlo attraverso parole o azioni là dove questo potere non c’è, là dove non lo troverà, e cioè nell’altro, che in fin dei conti non lo detiene. Invece questo comportamento lo obbliga mentalmente ad assumersi tutti i rischi che questa vana speranza comporta. La nascita di questo tipo di aggressività proviene spesso da una mancanza, da un deficit, ammesso o meno, del proprio potere, che si cerca di colmare. Le pressioni percepite, subite, e dunque vissute come tali a volte sin dalla più tenera infanzia, conducono alcuni individui a volersi riappropriare di ciò che percepiscono, nella loro intimità, come un qualcosa di cui sono stati privati, derubati, o anche che hanno semplicemente perduto. Ciò fa di questi individui delle persone pericolose a causa della loro semplice frustrazione. Ognuno di noi può comprendere e percepire questo genere di cose nel momento in cui si ritrova impotente davanti ad un’amministrazione, o in occasione di una presa di potere su di sé da parte di qualcuno contro il quale non può, apparentemente, nulla. Da qui a divenire aggressivi non c’è che un passo, che alcuni compiono laddove altri invece ci ragionano, si rassegnano, perché hanno già accettato, per via dell’abitudine, questo stato di dominazione e lo subiscono nel quotidiano. Se alcuni ne restano solo leggermente toccati è perché hanno già passato questo tipo di difficoltà e non sono indeboliti nel loro potere, non lo hanno mai perduto o lo hanno già ritrovato.

Prigioniero

«Tel est pris qui croyait prendre»* recita il proverbio, ed è proprio questo rovesciamento di prospettiva che si opera nel momento della presa. Si dimentica troppo facilmente che colui che prende diviene prigioniero di quello che ha preso. Egli non può disfarsene senza rischiare di perdere qualcosa nel processo che ha innescato. La sua libertà, ammesso che ne abbia una, si trova ad essere dipendente da colui o colei che egli pensava poter detenere o trattenere. Egli diventa il carceriere dell’altra persona, la quale non pensa più che a liberarsi, e ci metterà tutta la sua forza, la sua intelligenza, perfino la sua astuzia, se non addirittura la sua perfidia, poiché ne ha tutto il diritto e nessuno potrà biasimarla. La nostra società genera questo tipo di comportamenti alienanti, all’interno dei quali sia l’uno che l’altro cercheranno di liberarsi, l’uno contro l’altro, invece di passare ad un’altra dimensione, più umana, più intelligente, più rispettosa di questo altro. Voler cambiare questi comportamenti può sembrare un’utopia, però, se l’Aikido esiste e continua ad essere un’arte al servizio dell’umanità, è forse per dire e mostrare che, come altri hanno già enunciato, degli altri rapporti sono possibili tra le persone, e noi non siamo i soli, noi aikidoka, a desiderare di voler continuare lungo questa direzione.

La respirazione, una risposta in una situazione particolare

È attraverso la respirazione ventrale e la calma che ne risulta, che si può trovare la soluzione immediata a certe situazioni difficili. Per prepararsi non è assolutamente necessario essere un tecnico eccezionale, un grande guerriero, o un analista assai competente, al contrario si ha la necessità di ritrovare questa forza che si è rifugiata nel più profondo del nostro corpo, nel nostro Kokoro, o che talvolta si è perfino dispersa in molteplici sistemi di difesa. Cercare nelle arti marziali violente una soluzione di difesa di fronte alla coscienza della nostra debolezza, reale o presunta, è solo una scappatoia, un’alternativa o peggio una fuga in avanti. L’Aikido, nella sua filosofia, propone un’altra direzione che, se non viene intesa e soprattutto compresa, rischia di fargli perdere la sua ragion d’essere, la sua particolarità.Gli attacchi nell’Aikido non sono che una messa in situazione per permettere ai praticanti di risolvere un problema, un conflitto che in d’altra parte li oppone più a sé stessi che al loro partner. Le prese per esempio rappresentano spesso dei tentativi di immobilizzazione del corpo, dunque del movimento dell’altro, attraverso un imprigionamento dei polsi, delle braccia, del tronco, del keikogi o di qualsiasi altra parte che lo consenta. A volte, invece, le prese possono essere la prosecuzione di attacchi che non hanno raggiunto l’obiettivo. Raramente sono soltanto un tentativo di bloccaggio, se le si considera dal punto di vista del combattimento saranno quasi sempre seguite da un atemi o da un’immobilizzazione definitiva. Le prese non sono che il primo atto, la prima scena di una “pièce”, se si può dire così, molto più lunga. È lavorando sulle prese che si scoprirà, e questo può sembrare paradossale, il distacco.

Avant la saisie, on est touchée par quelque chose d’invisible.

La sensibilità, l’istinto

Molto prima che la presa o l’attacco si concretizzino la nostra sensibilità è raggiunta da qualcosa di invisibile ma tuttavia di molto materiale. È forse inspiegabile nello stato attuale delle conoscenze scientifiche, ma è qualcosa che conosciamo bene, e a volte anche molto bene. È ciò che ci fa muovere, schivare, quando ancora non abbiamo visto nulla, ma abbiamo soltanto sentito in modo indefinibile. Per fornire un esempio più chiaro e che ognuno ha potuto verificare, in un modo o in un altro, in diverse situazioni, vorrei parlare dello sguardo. Lo sguardo è portatore di un’energia, di un Ki estremamente concreto che il nostrto istinto può percepire. Potrebbe esservi capitato, mentre camminavate, una sera o una notte, di sentre qualcosa di indescrivibile dietro di voi, come se qualcuno vi stesse guardando, osservando, vi girate, nessuno, ma nonostante tutto la sensazione persiste. Questa sensazione, se non siete tranquilli, può trasformarsi in angoscia, ovvero può scatenare una paura «irrazionale visto che non c’è nessuno», quando di colpo scoprite, all’angolo della strada, dietro una tenda semiaperta, qualcuno che vi osserva, oppure, sopra un tetto, un gatto che vi guarda. Lo sguardo dei gatti, degli animali in generale, allo stesso modo di quello degli umani quando osservano intensamente qualcosa o qualcuno, è portatore di un Ki estremamente potente. Il nostro istinto è capace di sentirlo, ma tutto dipende dallo stato del nostro stato d’animo in quel momento. Se stiamo chiacchierando con un amico, se siamo persi nei nostri pensieri dopo un incontro amoroso ad esempio, il nostro istinto, se è poco preparato, avrà difficoltà a sentire questo genere di cose. È lo stesso, ovviamente, se siamo preoccupati, spaventati o angosciati, tutto il nostro essere, in questo caso, è in qualche modo indebolito, perde le sue capacità istintive.

Scoprire la direzione presa dal Ki

L’Aikido ci permette di riscoprire e di guidare le nostre capacità istintive. È grazie ad un lento lavoro su noi stessi e sulle nostre sensazioni che riapparirà ciò che spesso abbiamo lasciato addormentarsi, cullati dal comfort dovuto alla società moderna, che può sembrarci così rassicurante.Il lavoro a partire dalla prese corrisponde, come tutto ciò che facciamo nell’Aikido, a un ri-apprendimento e ad un allenamento del corpo nel suo insieme, in modo che non ci sia più separazione tra il corpo e lo spirito. Già quando il nostro partner si avvicina, non si tratta di aspettare gentilmente che egli faccia la presa richiesta, tutto il nostro corpo deve sentire le direzioni prese dalle diverse parti del suo corpo: braccia, gambe, i suoi punti di appoggio, e tutto questo senza guardare, senza osservare, perché sarebbe già troppo tardi. Per quanto riguarda i debuttanti inesperti, se l’esercizio è sufficientemente lento, essi potranno scoprire i cammini percorsi dal Ki dei loro partner, le linee di forza. Poiché lavorano senza rischi, ricominciano ad avere fiducia nelle reazioni e nelle sensazioni del loro corpo. Durante le sedute non mostro solamente le tecniche, sono continuamente in movimento, facendo da Uke all’uno, da Tori all’altro, senza bloccarli faccio sentire loro la direzione che il loro corpo deve prendere e mi metto io stesso nella situazione, rendendo ancora più concreto il Ki, materializzando le linee di forza, visualizzando le aperture che essi possono utilizzare, tutto questo lasciando loro la capacità di agire, di regire a modo loro.

Scoprire il Non-fare

La presa può essere un primo passo nel cammino che conduce verso ciò che Lao Tsu o Chuang Tsu designano con il nome di Wu wei, il Non-agire, e questa è stata la base dell’insegnamento del mio maestro Itsuo Tsuda. Come insegnare ciò che non è insegnabile, come mostrare l’invisibile, come guidare un debuttante o anche un anziano verso quella che è l’essenza della pratica nella nostra Scuola? Ciò che risulta difficile spiegare a parole, si comprende facilmente quando ci si lascia guidare dalla sensazione. Per questo dobbiamo fare qualche passo indietro: accettare di lasciare le nostre abitudini di acquisire e accumulare, questi riflessi del consumatore sempre pronto a riempire il suo carrello di prodotti diversi, di tecniche più o meno moderne, alla moda o all’antica, miracolose, facili e senza sforzo, o dure ma efficaci. Oggi la pubblicità è all’origine di tante illusioni, facendo luccicare agli occhi dei clienti le meraviglie colorate di un mondo divenuto tanto virtuale. Quanto manca perché si possa praticare l’Aikido sulla console Wii con un casco di realtà aumentata e un partner di cui si possa regolare il potenziometro in funzione del proprio livello, della propria forma, o del proprio umore?Ma è possibile che io sia in ritardo e che questo esista già.

Prendere con il Ki

I bambini piccoli conoscono e utilizzano naturalmente un certo tipo di presa estremamente efficace, si tratta di una presa vuota da tutte le contrazioni inutili. Nel prendere un gioco mettono tutto il loro ki e quando lo lasciano lo fanno con un’indifferenza completa, non c’è più nessun Ki dentro. Invece hanno una capacità incredibile quando non vogliono lasciare quello che hanno preso e che tengono nella loro piccola mano chiusa. Se è qualcosa di pericoloso, i genitori dovranno a volte aprire loro la mano dito per dito, nonostante egli sia piccola e priva di reale forza muscolare, nel senso in cui l’intendono gli adulti. Essi sanno, in modo completamente inconscio, come utilizzare il Ki, non hanno bisogno di impararlo, sfortunatamente perdono spesso questa facoltà a favore della ragionevolezza e sono l’educazione e la scolarizzazione ad esserne più spesso responsabili.Reimparare a prendere come un bambino piccolo, senza tensione, e scoprire grazie a ciò la prensilità naturale. Utilizzo spesso come esempio la maniera in cui gli uccelli si posano su di un ramo: essi hanno dei microsensori cutanei in mezzo alle zampe che informano dei ricettori, i quali, grazie a queste indicazioni, animano delle funzioni riflesse a livello dell’involontario e impartiscono l’ordine alle loro dita di chiudersi non appena toccano il ramo. Questo modo di prendere evita le tensioni, i fallimenti e consente un adattamento molto preciso delle membra al punto che si è afferrato. Una presa di qualità è una presa che utilizza il palmo della mano come primo contatto, poi le dita si chiudono sull’oggetto, sulle membra, sul keikogi. Se si agisce in questo modo le prese sono più rapide, senza tensioni eccessive e di un’efficacia notevole, e possono così permettere un lavoro di buona qualità con un partner.Le uniche prese dell’altro che ne rispettano la libertà sono leggere ma potenti, come quelle ad esempio di un bambino piccolo che vuole portare uno dei suoi genitori verso una piccola rana appena osservata nell’erba alta e di cui è curioso, o come quelle di due esseri, amici o amanti, uniti dalla tenerezza e dal rispetto reciproco.Volete ricevere i prossimi articoli? Iscriviti alla newsletter:

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Articolo di Régis Soavi pubblicato in Dragon Magazine (speciale Aikido n° 24) nel mese di april del 2019.* Itsuo Tsuda, La Via delal spoliazione, Yume editions, 2016, p. 179.* “Tel est prise qui croyant prendre” proverbio francese, tratto da una favola di La Fontaine “Il topo e l’ostrica” che in una versione italiana suona “Chi prender gli altri crede/ talor se preso vede” e cioè “A volte chi crede di prendere gli altri finisce per essere preso”.