La violenza, un “Fatto sociale”

di Régis Soavi. La violenza è un argomento così vasto e di tale densità che mi sembra impossibile affrontarne adeguatamente tutti gli aspetti in un articolo. Tuttavia è sempre un tema importante quando si affronta la questione dell’essere umano.

Émile Durkheim: definizione del “fatto sociale”

Prima di parlare della violenza, delle sue conseguenze e di prendere posizione nei suoi confronti, mi sembra utile situarla sociologicamente, e penso che vi si possa ttribuire la definizione di “fatto sociale” formulata da Durkheim, perché non solo ci fornisce il quadro che ci consente di analizzarla, ma contiene anche in sé, grazie al suo rigore e alla sua semplicità, le chiavi per trovare la base del problema.”Il fatto sociale è qualsiasi modo di fare, stabilito o no, suscettibile di esercitare sull’individuo una costrizione esterna; o ancora, che è generale all’interno di una data società in quanto ha una sua propria esistenza, indipendente dalle sue manifestazioni individuali”.1 È legittimo a questo livello porsi una domanda. La violenza è un fenomeno abbastanza frequente da essere considerato regolare e abbastanza esteso da essere descritto come collettivo? Possiamo dire che è al di sopra delle coscienze individuali e che le limita con il suo predominio? Anche senza essere esperti in sociologia si può solo rispondere che questo è ovvio. Per sostenere questa teoria, ho trovato in un recente articolo sulla guerra d’Algeria questa osservazione di una sociologa che propone un’altra visione di questi eventi che conferma – se ce n’era bisogno – questo posizionamento.“La violenza è esterna agli individui, si impone loro ma allo stesso tempo esiste proprio tramite loro. È in effetti la segregazione spaziale al contempo razziale, sociale e di genere, […] che contribuisce alla transizione alla violenza”.2La violenza come atto, fisico o mentale, verbale o gestuale, simbolico o reale, non è mai giustificata. Tuttavia, come “fatto sociale” è assurdo negarla. Siamo in grado, banalmente in grado, di reagire diversamente, o siamo sopraffatti e trascinati da eventi che finiscono per condurci in una direzione che teoricamente avremmo rifiutato all’inizio, almeno consapevolmente?régis soavi article violence

La situazione crea le condizioni, le condizioni creano la situazione

“L’inferno sono gli altri” ha scritto Jean-Paul Sartre nella sua opera teatrale A porte chiuse. Forse, ma non dobbiamo dimenticare la “situazione” che ha permesso a questo inferno di esistere. Chi ne è responsabile e persino colpevole, se non il tipo di società che l’ha generata?Se creiamo le condizioni nei nostri dojo in modo che la situazione non lo consenta, non provochi la violenza nonostante le abitudini, nonostante l’educazione e le cosiddette reazioni istintive, perché le cose dovrebbero accadere in un modo che non sia cordiale? L’Aikido è un caso speciale nelle arti marziali? Certamente no perché una grande maggioranza delle arti marziali si presenta a torto o a ragione come non violenta. Ma giustificare una risposta violenta a uno o più atti violenti non ci porta sulla strada della violenza?Giudici e giurati dei tribunali si trovano spesso di fronte a casi in cui devono “secondo coscienza” decidere chi aveva ragione a usare la violenza e se era giustificata. La legge fornisce loro un quadro a cui possono fare riferimento ma che non fornisce loro risposte pronte per ogni caso. Spesso, tuttavia, devono distinguere tra la violenza subita e la violenza esercitata. Allo stesso modo, la “legittima difesa” è estremamente inquadrata e può evolvere in funzione di questioni sociali, storiche e politiche.Negare la violenza che la società esercita sugli individui non è altro che mettere la testa nella sabbia come uno struzzo, o coprirsi gli occhi come bambini che giocano a nascondino. Ma innanzitutto non dobbiamo confondere la lotta e la violenza, e non tutte le risposte alla violenza generano sistematicamente altre risposte violente. Il valore dell’Aikido è nel suo posizionamento che non consiste nel negare la violenza, ma piuttosto rieducare, reindirizzare l’energia distruttiva in un’altra direzione più vantaggiosa per tutti.

Io

Di fronte a tutta questa problematica, sono costretto a parlare di me.Se ho iniziato a praticare arti marziali quasi sessant’anni fa, e l’Aikido in particolare cinquant’anni fa, è proprio per il suo spirito di giustizia, per la sua bellezza, la sua efficacia non violenta, il suo ideale, allo stesso tempo generoso, pacifico e mite.Tutto è iniziato quando a dodici anni, senza essere veramente lucido su quello che stavo facendo, ho preso una decisione che ha sconvolto la mia vita: non subire mai più. È successo mentre ero sotto un ragazzo più grande di me che mi sbatteva la testa sul marciapiede dicendomi «Morirai»! Questa presa di coscienza che un altro potesse esercitare una simile violenza su di me non ha innescato un desiderio di vendetta, ma al contrario un disgusto per la violenza insieme a un desiderio di essere forte e un desiderio di giustizia che definirei immediato, istantaneo. Essere forte era la soluzione, ma non solo, c’era anche e nello stesso momento questo rifiuto della violenza come risposta, non solo ai miei problemi personali, ma, dopo averci riflettuto, mi è sembrato che potesse anche estendersi ai problemi del mondo. Un desiderio di giustizia, per me come per tutti gli altri che subiscono, si era appena manifestato, ma soprattutto doveva essere esercitato senza ricorrere alla brutalità o alla barbarie, senza dover giustificare o sollecitare a commettere atti che io rifiutavo d’istinto. All’epoca non sono sempre riuscito a mantenere questa posizione, le tensioni sociali, la giovinezza, mi spingevano spesso – troppo spesso – verso altre direzioni, ma sempre per difendere una causa, o da un’ingiustizia. Tuttavia, il desiderio interiore di uscire dagli schemi violenti che notavo intorno a me è rimasto e l’Aikido che ho incontrato più tardi con Itsuo Tsuda Sensei è stato una rivelazione.In Aikido c’è prima di tutto Reishiki (l’etichetta) e una preparazione tecnica del corpo che, supportata da una forte determinazione, ci dà l’opportunità di risvegliare i nostri migliori istinti. È attraverso il rifiuto della contaminazione ideologica dei poteri dominanti che possiamo ritrovare la nostra integrità, la nostra interezza. Tutte le teorie che giustificano la violenza cercano di spingerci su un percorso che permette di esercitare un potere e quindi una violenza sugli altri, che un giorno o l’altro ci si rivolta contro qualunque sia il ruolo che abbiamo assunto o creduto di poter assumere.

La Via, calligrafia di Itsuo Tsuda.

Un prerequisito, la normalizzazione del terreno

Quando Tsuda sensei arriva in Francia all’inizio degli anni settanta,3 il suo progetto è quello di propagare il Movimento rigeneratore, (tradotto così dal giapponese Katsugen undo da Tsuda Itsuo) e le sue idee sul “ki”. Essendo stato a stretto contatto con questi due grandi maestri giapponesi che furono Ueshiba Morihei per l’Aikido e Noguchi Haruchika per il Seitai,4 tramite moltissimi stage di introduzione al Movimento rigeneratore, attraverso un insegnamento quotidiano dell’Aikido, così come la pubblicazione di nove libri, guiderà instancabilmente i suoi allievi alla scoperta di ciò che sembra ancora misterioso per molte persone oggi: il Non-Fare, Yuki5, e il Seitai, tra l’altro.Quest’alleanza di due pratiche (Aikido e Movimento rigeneratore) impossibile da concepire nel Giappone dell’epoca, e a quanto pare persino anche oggi, gli permetterà di far conoscere in Occidente una concezione della vita e dell’attività umana che va ben oltre un modello orientale o passatista.La visione di Tsuda sensei, visione che era già stata condivisa e approvata da Noguchi sensei, è che l’energia vitale coagulata, qualunque sia la ragione, è una delle origini principali degli errori e delle difficoltà dell’umanità, che la sua normalizzazione è alla fonte della risoluzione della maggior parte dei problemi di salute, come di quelli della violenza. In questo si avvicina al lavoro di ricercatori come lo psicoanalista Wilhelm Reich che fece un enorme lavoro sull’energia vitale che chiamava “Orgone”, Carl Gustav Jung, anch’egli psicoanalista, e la sua ricerca sui simboli e la sua teoria degli archetipi, o l’etnologo Bronislaw Malinovski e i suoi studi sul matriarcato nelle Isole Trobriand. L’Aikido di Tsuda sensei era ben lungi dall’essere un’autodifesa o uno sport, rispettava il lato sacro che O sensei aveva scoperto in questa arte, e ci permetteva di intravederne almeno gli effetti nel suo modo di affrontare la vita, nei suoi scritti, nelle sue calligrafie. Si proibiva invece qualsiasi aspetto religioso o settario e si dichiarava persino ateo e libertario, essendo l’Aikido per lui un percorso per normalizzare il corpo e lo spirito in una visione non separata dall’individuo. Quanto al Movimento Rigeneratore, era anche visto come un lento processo di normalizzazione del terreno.

L’interesse della pratica del Movimento Rigeneratore e della sua alleanza con l’Aikido

Alla domanda «Che cos’è per lei il Movimento rigeneratore?» che il figlio del fondatore, Noguchi Hirochika, mi aveva posto durante la sua visita a Parigi nel 1980, ho avuto questa risposta spontanea: «Il Movimento rigeneratore è il minimo». Avere una base solida e sana, un corpo in grado di reagire per praticare le arti marziali, è qualcosa di assolutamente essenziale. La pratica dell’Aikido può quindi permettere al corpo di funzionare grazie a tecniche che saranno certamente temibili se c’è aggressività da parte di chicchessia, ma che permettono anche di riequilibrare la persona. Al contrario, se si rafforza l’aggressività invece di normalizzarla, è spesso la violenza che si innesca e i danni che ne risultano su entrambi i partner possono essere incommensurabili. Impegnarsi nella pratica dell’Aikido per deformarsi, invecchiare più velocemente o avere incidenti, o anche disabilità a causa di questo mi sembra del tutto assurdo.regis soavi article violence

L’arte cavalleresca del tiro con l’arco

Se l’arco è stato l’arma di cacciatori e guerrieri per secoli e persino migliaia di anni in tutto il pianeta, il Kyudo che ne è derivato è riuscito a trasformarlo in uno strumento di pacificazione. È interessante notare che è un’arte praticata in egual misura tanto da uomini che da donne. Molte Scuole non fanno competizioni né danno gradi, come accade nella Scuola Itsuo Tsuda. Tutti questi aspetti ne fanno un’arte fondamentalmente non aggressiva nonostante le sue origini. Senza aggressività, ma con obiettivi che favoriscono l’armonia, come Kai, l’unione tra corpo e mente, tra arco, freccia e bersaglio, con una ricerca interiore verso: la verità (?, shin), la virtù (?, zen) e la bellezza (?, bi). Possiamo constatare che con questo spirito siamo molto lontani dal favorire la violenza, al contrario, creiamo le condizioni per lo sviluppo di un’umanità più serena. L’Aikido così come lo concepiva O senseï Ueshiba Morihei mi sembra essere della stessa natura, ed è per questo che continuo ogni giorno a guidare i praticanti in questa direzione. Se non possiamo cambiare “il mondo”, possiamo cambiare “il nostro mondo”. Nei dojo che seguono questo tipo di via verranno allora create le condizioni che, almeno a livello regionale, semineranno i semi di una rivoluzione dei costumi, delle abitudini, dei gesti, dei pensieri, una rivoluzione in cui l’intelligenza del corpo e dello spirito finalmente riuniti sconvolgerà profondamente la società. È attraverso la pratica del Non-Fare nell’Aikido che potremo riuscirci.Volete ricevere i prossimi articoli? Iscriviti alla newsletter:

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Articolo di Régis Soavi pubblicato in Self e Dragon Speciale n° 2 nel mese di julio del 2020.Foto:Jéremy Logeay, Sara Rossetti, Bas van Buuren