Le cose esteriori non hanno nulla di certo né di necessario

Di Manon SoaviMax Stirner scriveva nel 1844: “Ci sono erranti dello spirito, che, soffocando sotto il tetto che ospitava i loro padri, se ne vanno a cercare lontano più aria e più spazio. Invece di restare in un angolo del focolare familiare a smuovere le ceneri di un’opinione moderata, invece di prendere come verità indiscutibili ciò che ha consolato e placato tante generazioni prima di loro, attraversano la barriera che racchiude il campo paterno e si avviano, per le ardite vie della critica, dove li conduce la loro indomita curiosità di dubitare..” (Max Stirner, L’unico e la sua proprietà)Itsuo Tsuda sensei è noto per i suoi dieci libri, a volte anche per le sue calligrafie permeate di filosofia tch’an (Zen in giapponese) o per aver introdotto il Seitai in Europa. La sua scuola di pensiero “La scuola della respirazione”, anche se relativamente modesta, ha segnato in modo duraturo le migliaia di persone che sono passate nei dojo o che hanno letto i suoi libri. Eppure non bisogna immaginarsi che il suo cammino sia stato un lungo fiume tranquillo fino alla saggezza. Al contrario, è stato il rifiuto delle certezze del passato a spingerlo verso un’altra strada. Tsuda sensei era certamente un “vagabondo dello spirito” che soffocava sotto il tetto paterno, come dice Stirner. Nel 1914, quando è nato, suo padre era un grande industriale giapponese che aveva fatto fortuna e si era trasferito in Corea, allora sotto il dominio giapponese. Non è possibile sapere esattamente cosa ha motivato la rivolta di Itsuo Tsuda contro suo padre e la sua partenza a sedici anni. Tuttavia, sappiamo che c’entra il modo di agire del padre dopo la morte della madre e della sorella maggiore. C’è qualcosa di inaccettabile per il giovane Itsuo Tsuda, ma suo padre si aspetta che si rassegni, che sopporti e taccia. A questa sofferenza si aggiunge l’incontro con una ragazza coreana (che alla fine sposerà, quattordici anni dopo, quando la ritroverà durante la seconda guerra mondiale). Questa ragazza, di cui si innamora, gli permette di avvicinarsi ad alcune delle immense sofferenze del popolo coreano allora dominato dal Giappone con grande violenza di Stato.A sedici anni, in totale rottura con il padre, rifiuta il diritto di primogenitura e parte, solo, senza alcuna certezza, salvo quella che gli sarebbe stato insopportabile continuare sulla strada che era tracciata per lui. Così per quattro anni vagabonderà, in senso letterale, in Cina e in Manciuria, trascorrendo due anni a Shanghai. Trova una città allora straordinariamente cosmopolita, con da un lato le concessioni francesi e britanniche e dall’altro una fortissima presenza dei movimenti anarchici coreani, giapponesi e cinesi.Bisogna credere che Itsuo Tsuda non amasse le certezze perché a vent’anni parte questa volta per Parigi, conoscendo solo qualche parola di francese, alla ricerca della libertà di pensiero. Quando arrivò nel 1934, piombò nel bel mezzo dei movimenti del Fronte Popolare, degli scioperi e delle manifestazioni di massa dell’epoca. Un movimento di una forza che ci è difficile immaginare oggi e che la guerra schiaccerà, falciando la gioventù operaia rivoluzionaria dell’epoca. A poco a poco, Itsuo Tsuda si integra e inizia a studiare alla Sorbona con Marcel Mauss e Marcel Granet. È in contatto con gli ambienti intellettuali di Montparnasse, e credo di poter affermare che stesse progettando di restare a Parigi, almeno per un bel po’. Ma nel 1940 il mondo sprofonda nella guerra e viene richiamato dal Giappone. Con grande pena deve imbarcarsi per un paese che, in fondo, non conosce. Ciò che lo attende in Giappone è il caos della guerra, il nazionalismo e l’incertezza totale del domani. Forse le situazioni estreme mostrano chi crolla e chi ha la resistenza di continuare il proprio cammino. Tsuda sensei aveva certezze? Non so, ma il fatto è che continua la sua strada nonostante la guerra. I suoi interessi per la sinologia e per l’etnologia non si smentiscono, al contrario, pubblica traduzioni e articoli. Dopo la guerra, la sua vita sembra “stabilizzarsi”, sposato e salariato (lavora ad Air France come interprete) eppure continua ad approfondire instancabilmente. L’incontro con il N?, poi con il Seitai e il suo fondatore Haruchika Noguchi (con il quale studierà per vent’anni), e infine con O sensei Ueshiba e l’Aikido saranno gli strumenti decisivi dell’articolazione della sua filosofia: il Non-fare e la nozione di Ki.

Les choses extérieurs n’ont rien de certain ni de nécessaire. calligraphie d’Itsuo Tsuda.

Coltivare l’incertezza

Si potrebbe credere che, arrivato a quel punto, per lui tutto diventi chiaro, come spesso accade nelle persone di una certa età dopo una giovinezza tumultuosa. Ma non è così, è a cinquantasei anni che ritorna in Francia senza garanzie né promesse, come scriverà lui stesso. Vivendo di nuovo miseramente, in una stanza della servitù vicino alla Gare du Nord a Parigi, si mette a scrivere, direttamente in francese. Comincia anche ad insegnare l’Aikido e a diffondere il Katsugen undo (la ginnastica dell’involontario del Seitai). A sessantotto anni, nel suo ottavo libro, scrive: “Dal punto di vista comune, sono un uomo imprudente. Non prendo precauzioni contro microbi, virus, inquinamento, malattie. Non sono né protetto né armato contro i pericoli. Faccio ciò che voglio fare, senza disturbare nessuno.Non spetta a me imporre le mie idee, dicendo: “Non fate quello che faccio io, ma fate quello che vi dico”. Tale formula spetta ai grandi, ai potenti, ma non a me. La mia formula è: “Vivo, vado, faccio.”Non è per conformarmi a uno scopo morale, sociale o politico che faccio qualcosa. Faccio quello che sento dentro di me, quello che posso fare senza rimpianti. Io non cerco l’utopia all’esterno. Cerco la soddisfazione interiore, incondizionata. È nella respirazione calma e profonda che trovo la mia vera soddisfazione. Questo, nonostante le numerose contrarietà della vita moderna. Ho superato e supererò le difficoltà, finché dura la vita. È così che trovo il piacere di vivere. » (Itsuo Tsuda, La Voie des dieux, Le Courrier du Livre)Itsuo Tsuda ci ha lasciato anche insegnamenti preziosi attraverso le sue calligrafie. Su questa questione dell’incertezza, troviamo questa frase di Chuang-tzu che egli calligrafò: “Le cose esteriori non hanno niente di certo né di necessario” (1). Le cose esteriori vanno e vengono, buone o cattive, nulla è prevedibile e nulla è in sé un bene o un male. Tuttavia, integrare realmente questo dato dell’incertezza delle cose esterne è difficile, lo abbiamo potuto constatare in prima persona con i due anni di crisi che abbiamo appena vissuto. Mesi di instabilità e di crisi che, senza essere l’equivalente di una guerra, ci hanno logorato, stancato. Abbiamo potuto misurare, al nostro livello, la difficoltà di andare avanti e gli effetti non hanno smesso di farsi sentire.

La forza interiore

Il difetto dell’educazione occidentale è che tende a farci prendere in considerazione solo l’aspetto volontario dell’individuo. Allora, per compensare la propria debolezza, l’essere umano mostra le sue certezze all’esterno pur rimanendo molto incerto di se stesso all’interno.L’insegnamento di Tsuda sensei riorienta la nostra attenzione verso le capacità insospettate del nostro involontario. Ascoltare i nostri bisogni interiori che si esprimono e ci danno le direzioni da seguire per noi stessi e mantenere l’imprevedibilità, la disponibilità verso l’esterno poiché nulla è certo né necessario. Significa fidarsi delle capacità di adattamento umano.Non essendo mai andata a scuola, ho avuto a che fare con una sfilza di persone che proiettavano le proprie preoccupazioni sulle nostre scelte e che avevano la certezza che i miei genitori stavano sprecando le mie possibilità per il futuro. Tuttavia, una cosa è certa: il futuro è sempre incerto (a volte addirittura assente). Ho quindi vissuto un’infanzia del momento presente piuttosto che dettata da un futuro inesistente. Nella gioia e nella fiducia di fare le cose per loro stesse, nel momento in cui manifestavo un interesse. I miei genitori hanno avuto momenti di dubbio, ovviamente, ma erano convinti che vivere come i loro progenitori fosse semplicemente non vivere, ma morire lentamente. Hanno preferito fare la scelta dell’incertezza prendendo una strada divergente. Perché la certezza interiore che la cosa più importante fosse vivere ora non li ha lasciati. Non andare a scuola era questa possibilità inaudita di apprendere a contare sulle proprie risorse per affrontare le inevitabili difficoltà dell’esistenza.Praticare un’arte come l’Aikido è, almeno sui tatami, dover contare su questa spontaneità perché qualunque sia l’apprendimento tecnico non è possibile prevedere tutto. I corpi sono spesso più o meno paralizzati dall’interno e l’attività del corpo è bloccata (attività del corpo intesa secondo J. F. Billeter: “insieme delle energie e dell’attività inconscia che alimentano e sostengono l’azione cosciente”) (2). Ma allora l’adattamento, l’integrazione, non avvengono più. Quindi, un’arte che rimette in movimento le risorse del corpo, che reintroduce il gioco, è davvero salutare anche se non è una terapia. La vita riprende attraverso il corpo.Ecco perché l’Aikido non deve diventare un catalogo tecnico sterile, con attacchi sempre prevedibili e risposte standard. La parte dell’incertezza deve essere mantenuta con diversi mezzi pedagogici come jyu waza o il lavoro a più attaccanti per esempio. Quando ho cominciato lo studio delle tecniche di jujitsu della Bushuden Kiraku ryu, ciò che era formativo era uscire dal quadro dell’Aikido e trovare alcune tecniche, molto vicine all’Aikido, ma in modo diverso; ciò rompeva il quadro e mi ha permesso di continuare l’Aikido con la sensazione interna delle possibilità di atemi, di kubi shime, di kaeshi waza, ecc. Senza peraltro mettere per forza questi elementi ad ogni tecnica, il semplice fatto di averli percepiti nel mio corpo mi dava un posizionamento diverso.

Manon Soavi

Creatività

L’Aikido ci porta ovviamente a sentire le situazioni in cui dobbiamo andarcene o agire prima che sia troppo tardi. È, certamente, una base. Ma questo ha più a che fare con l’intuizione e il potenziale creativo dell’individuo nel senso in cui lo esprime il ricercatore Arno Stern che con il controllo: “Creare è acquisire una libertà al di fuori della presa della società consumistica. Quando parlo di libertà, non è una parola leggera che pronuncio; è la condizione ed anche lo scopo dell’educazione che genera l’atto creatore. Creatività non significa produzione di opere. È un atteggiamento nella vita, una capacità di padroneggiare qualsiasi dato dell’esistenza.» (Arno Stern, Homo-vulcanus, Edizioni Scientifiche Ma. Gi.)Nelle arti marziali ci sono molti esempi. Perché ciò che rende efficiente un’arte non è il bagaglio tecnico, ma prima di tutto l’essere umano e la sua capacità di reazione. Ci sono naturalmente molte storie e racconti di arti marziali che lo raccontano, ma voglio finire questa riflessione con una storia che ricolloca l’Aikido in una realtà dove non c’è certezza sul risultato (l’esterno) ma è evidente la necessità di far fronte (l’interno). Viene raccontata dalla figlia di Virginia Mayhew (pioniera dell’Aikido, fondatrice del New York Aikikai e allieva diretta di O sensei):”Quando avevo sette anni, mia madre ed io ci siamo trasferite nel sud della California e abbiamo vissuto in un vecchio motel nel centro di Los Angeles. A tarda notte, mentre tornavamo nella nostra stanza, un uomo arrabbiato che brandiva una mazza ci ha bloccato la strada e ha chiesto i nostri soldi. Mia madre ha cercato di ragionare con lui e si è offerta di dividere i suoi soldi. Questo sembrava solo farlo arrabbiare di più e si avvicinò a mia madre brandendo la sua mazza in modo minaccioso su di lei. Ricordo di aver avuto paura quando mia madre si è diretta verso di lui. Non capivo ancora la nozione di irimi, quindi non aveva senso per me vederla dirigersi verso un uomo che stava per colpirla con una mazza. Lo scontro vero e proprio è durato solo pochi secondi. La mazza non è mai entrata in contatto con mia madre perché improvvisamente ne ha preso possesso e poi ha immobilizzato il polso del tipo in una leva dolorosa. Si è chinata vicino a lui e ha detto: “Non le farò del male, ma sappia che non è bene attaccare una donna, soprattutto quando sono presenti i suoi figli. Quando la lascerò andare, se ne andrà tranquillamente, ma noi terremo la mazza”. Quando finalmente ha lasciato il polso, il suo potenziale aggressore non ha potuto fuggire abbastanza velocemente.” (Shankari Patel, Irimi su feministaikidoka.blogspot.com. Trad. G. Érard.)Volete ricevere i prossimi articoli? Iscriviti alla newsletter:

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Articolo di Manon Soavi pubblicato in Self e Dragon Speciale n° 12 nel mese di gennaio del 2023.Note:1. Régis Soavi, Sara Rossetti, Manon Soavi, Itsuo Tsuda – Calligrafie di primavera, Yume Editions, 2018, p. 364.2. Vedere il lavoro del sinologo Jean François Billeter su Chuang-tzu o il suo libro Un paradigme edizioni Allia (2012).