respiration philosophie vivante

Semplice come respirare

itsuo tsuda aikidoIncontro con l’Aikido di Régis Soavi.

L’appuntamento è alle sette meno un quarto di mattina.  La zona è quella della Chinatown milanese.  Il luogo è un ex garage trasformato in un dojo tradizionale e spartano in cui, appena entrati, gentilmente ma con fermezza, ti indicano di toglierti le scarpe. I praticanti arrivano alla spicciolata, le facce assonnate, si danno il buongiorno sussurrando, quasi a non voler spezzare l’atmosfera livida di una Milano che sta per scuotersi di dosso il torpore dell’alba.

Ero stata invitata a una sessione di Aikido da Régis Soavi, francese, a Milano per uno degli stages che periodicamente conduce in Italia. Soavi porta avanti la scuola e il messaggio di Itsuo Tsuda (1914 – 1984), che fu allievo diretto di Morihei Ueshiba. Avevo letto un paio di libri di Tsuda, giapponese trapiantato in Francia.  Strani libri i suoi, che non appartengono né al genere “arti marziali”, né al genere “saggi” o “narrativa”. Nella scuola di Tsuda convergono due esperienze fondamentali, l’Aikido e il “movimento rigeneratore”. Ho cercato di approfondire l’argomento insieme a Régis Soavi.

Chi era Itsuo Tsuda.Lei è stato allievo diretto del Maestro Tsuda. Mi parli un pò di lui.

– Era un uomo semplice. Noi lo chiamavamo semplicemente signor Tsuda. Io stesso ho cominciato a chiamarlo maestro solo negli ultimi anni. Teneva molto a essere considerato soprattutto un filosofo e uno scrittore. La sua era una ricerca personale. Quando lo si incontrava, ci si rendeva conto immediatamente della sua forte personalità, ma allo stesso tempo era un asiatico comune. Incrociandolo per strada, non ci si rendeva conto che fosse un esperto di arti marziali, sembrava un giapponese come tanti altri. Comunque, sui tatami era una scoperta. Tsuda si rivolgeva a ogni persona direttamente, non parlava mai in generale. Al mattino dopo l’Aikido prendevamo il caffè insieme e lì raccontava delle storie rivolgendosi a tutti, ma ogni volta capivamo che c’erano delle persone in particolare che voleva raggiungere. Ciò che lo caratterizzava era soprattutto la semplicità.

Leggo dalla biografia di Tsuda: “a sedici anni si rivoltò contro la volontà del padre che lo destinava a diventare erede dei suoi beni; lasciò quindi la sua famiglia e si mise a vagare alla ricerca della libertà di pensiero. Dopo essersi riconcigliato con il padre, si recò in Francia nel 1934, dove studiò sotto la guida di Marcel Granet e Marcel Mauss fino al 1940, anno del suo ritorno in Giappone. Dopo il 1950 si interessò agli aspetti culturali del Giappone: studiò la recitazione No con il Maestro Hosada, il Seitai con il Maestro Haruchika Noguchi e l’Aikido con il Maestro Ueshiba. Tsuda tornò in Europa nel 1970 per diffondere il movimento rigeneratore e le proprie idee sul ki”. Cosa ha fatto Tsuda durante la seconda guerra mondiale?

– Nel 1940 venne mobilitato e dovette rientrare in Giappone, con l’ultimo battello che attraversava il canale di Suez. Poi il canale fu chiuso. Fu arruolato e ricoprì una funzione amministrativa nell’esercito. Non ha mai combattuto.In seguito, subito dopo la guerra, ha lavorato per la compagnia Air France come interpredte. Ed è stato così che ha incontrato il Maestro Ueshiba. André Nocquet, un praticante di Judo francese, era venuto in Giappone per imparare l’Aikido e poiché non parlava giapponese, ha cercato un interprete; quell’interprede era Tsuda, che dell’Aikido fino a quel momento non sapeva niente; ma vi si appassionò subito.

– Tsuda ha conosciuto prima Ueshiba o Noguchi?

– Noguchi. Aveva circa 30 anni quando lo ha conosciuto, mentre ne aveva 45 quando ha incontrato Ueshiba.

– Cosa significa che non voleva accettare l’eredità della famiglia?

– Suo padre faceva parte di una famiglia di samurai, che con la modernizzazione Meiji si erano trasformati in industriali e capi d’impresa. E Tsuda non voleva lavorare nell’azienda di famiglia. Voleva portare avanti la propria vita; all’inizio con difficoltà: ha lavorato anche in una fabbrica chimica. Poi si è riconciliato con il padre ed è stato lì che ha deciso di proseguire gli studi in Francia. Tsuda amava molto la Francia.

L’Aikido

Nella Pratica Respiratoria il battito delle mani (1)  precede e segue la recitazione del norito.(2)  Il norito è un testo di origini shintoiste recitato in giapponese. Il senso di questa recitazione è di creare una risonanza nei praticanti.- Un altro momento della Pratica Respiratoria: Régis Soavi durante l’espirazione (3 -4)  e il saluto alla calligrafia.(5)

-Secondo lei l’Aikido è un’arte marziale?

– No, conosce già la risposta. L’Aikido è una non-arte marziale: la pratica del non-fare. Il Maestro Ueshiba, in un’altra epoca avrebbe potuto rispondere che l’Aikido è un’arte marziale. Se però dico che non lo è, mi si obbietta: “ma allora è una danza”. Quindi io definisco l’Aikido una “non-arte marziale”. E poi è comunque qualcosa di diverso, infatti il Maestro Ueshiba l’ha chiamato ai-ki-do. Viene spesso tradotto come “via dell’armonia”, ma la definizione più appropriata è “via della fusione del ki”. Due persone si possono fondere. Fanno molto di più, che armonizzarsi: da due diventano uno, poi tornano ad essere due. In un’arte marziale di solito ci sono due antagonisti che si scontrano e ne resta solo uno; invece nell’Aikido c’è, la fusione delle sensibilità. Nella nostra scuola colui che attacca, attacca; l’altro si fonde: prende, assorbe e da due ne fa uno. Fà in modo che l’altro entri a fare un pò parte di lui. E in questo modo disarma. L’attacco non funziona più.

– Si impara quindi a prendersi la responsabilità anche per l’altro? Ovvero in una relazione fra due persone, basta la volontà di uno dei due per cambiare la qualità della stessa?

– Si impara a prendersi la propria responsabilità. Nella nostra scuola l’attaccante aiuta l’altro che ancora non riesce a “creare la fusione”, e la favorisce. Se attaccasse brutalmente, il principiante non riuscirebbe a realizzare la fusione, ma guidandolo gli fà riscoprire la sua capacità di movimento. Questa capacità la si possiede già. Se attraversando la strada arriva una macchina all’improvviso, si fa un salto indietro. E’ l’arte della schivata. Queste capacità emergono spontaneamente in condizioni eccezionali. Qui le si reintroducono, in modo che diventino più naturali, che partecipino a ogni istante della nostra vita.

– Voi praticate tutti i giorni al mattino presto. Come mai?

– Il maestro Ueshiba praticava al mattino, il maestro Tsuda anche, io ho continuato a praticare al mattino. Questa è una prima ragione. La seconda ragione è che vengono solo le persone decise e motivate, perché per venire a quell’ora bisogna alzarsi intorno alle cinque e mezzo. Al mattino si è più freschi che non a fine giornata ed è più facile praticare il non fare, per lo meno per i principianti; si è più “involontari”, ancora mezzo addormentati, non si è ancora perfettamente dentro il proprio “essere sociale” che serve durante la giornata per incontrare le persone e svolgere il proprio lavoro: sorridere quando si deve, non sorridere quando non si deve, ringraziare, eccetera. Il mattino, quando si arriva al dojo si è ancora puliti, poco strutturati e quindi c’è una maggior verità.

– In cosa il vostro Aikido si differenzia dalle altre scuole?

– Non ci sono differenze, è Aikido. Non so cosa si faccia nelle altre organizzazioni oggi, per esempio nell’Aikikai che ho lasciato vent’anni fa. Credo però che siano state dimenticate alcune cose. Per esempio, la prima parte della “pratica respiratoria”, che il maestro Ueshiba faceva tutte le mattine e che noi abbiamo conservato. Di essa, altrove, sono state conservate alcune forme, ma gran parte è andata perduta. Penso che ciò si adatti di più agli occidentali e alla nostra epoca, ma io preferisco rimanere più tradizionale.In una nostra sessione di Aikido c’è una prima parte in cui si pratica da soli per circa venti minuti, e una seconda in cui si pratica a coppie: uno dei due partner attacca e l’altro esegue la tecnica; qui troviamo le stesse tecniche praticate nell’Aikikai o dal maestro Kobayashi, o da qualsiasi altro maestro. La differenza sta nel modo di farle, un modo che dà molta più importanza al partner; si tiene completamente conto di lui e, in questo, credo che abbia svolto un ruolo fondamentale la nostra pratica del katsugen undo.

Il movimento rigeneratore (Katsugen undo)

– Cos’è il katsugen-undo?

– Nella nostra scuola ci sono due pratiche unite da uno spirito comune: l’Aikido, di cui abbiamo

itsuo tsuda

appena parlato e il movimento rigeneratore, che Tsuda aveva appreso dal maestro Noguchi: un “movimento che permette il ritorno alla sorgente”.E’ stato questo che ha permesso di comprendere meglio la parte non-fare dell’Aikido.Spesso quando arrivano delle persone da altri dojo vedo che  “hanno”  una tecnica: rispondono agli attacchi in un certo modo,ma non c’è più niente di spontaneo, tutto è calcolato, registrato, appreso, ordinato.

– E il movimento rigeneratore dovrebbe ricondurre l’individuo alla spontaneità?

– Sì, è l’arte della spontaneità per eccellenza.

– E deriva dal Seitai di Noguchi, se ho ben capito.

– Sì.

– Che cosa vuol dire  “Seitai” ?

– Vuol dire  “terreno normale” . Il  Seitai soho  , per esempio, è una tecnica per “Seitaizzare” le persone, ovvero dar loro la possibilità di ritrovare il terreno normale; il katsugen undo, invece, è il movimento del sistema motorio extrapiramidale, il movimento involontario, che scatta da solo e  “seitaizza”  l’individuo. Non si tratta di un sistema di acquisizione, al contrario è un sistema di spoliazione, non si acquista una maggiore flessibilità, piuttosto ci si libera dall rigidità. Non si acquista niente, si perdono delle cose, ci si libera di ciò che ci disturba. Anche nell’Aikido questo è importante. L’Aikido non è una via per  acquisire  delle tecniche, o per  avere  dei risultati bensì per ritrovare delle cose molto semplici. Per questo il maestro Tsuda usava dire  “ridivenire bambini senza essere puerili” .

– Ueshiba conosceva il Seitai? E come si sposano il Seitai e l’Aikido?

– È stato Tsuda a operare questa unione. Non credo che Ueshiba conoscesse il Seitai. Al contrario, il maestro Noguchi, era andato a vedere una dimostrazione di Ueshiba, dopo la quale aveva detto:  “Va bene” . E questo in Giappone è sufficiente.

Il ki

– Noguchi ha fondato il Seitai o esisteva già una tradizione del Seitai che lui ha perpetuato?

– No, lo ha creato lui. Inizialmente Noguchi era un guaritore, fino a quando ha “scoperto” il movimento involontario. Un giorno si è reso conto che le persone si ammalavano, andavano da lui, lui faceva passare il ki, esse guarivano e se ne andavano; poi si riammalavano e ritornavano. . . Questo avrebbe fatto felice un qualsiasi pranoterapeuta che si sarebbe fatto un parco clienti fisso. Ma Noguchi partiva da un punto di vista diverso: “A cosa serve che io li guarisca visto che si riammalano? E ogni volta che si ammalano dipendono da me”. Per lui era assurdo. Ha scoperto che con il “katsugen undo” non si ha bisogno di qualcuno che ci guarisca, il corpo non ha bisogno di nessuno, fa tutto da solo.

– Si può dire che il nostro ki ci guarisce?

– No, il ki non guarisce. Il ki attiva la capacità vitale dell’individuo, ma siamo già pieni di ki ! Se il nostro corpo lavora normalmente, non abbiamo bisogno di altro. Se ho dei microbi nel corpo, questo fa scattare la febbre e la produzione degli antibiotici “home made”, degli anticorpi, eccetera. Noguchi non faceva altro che attivare la vita quando gli individui erano troppo deboli. Ancora più interessante è che gli individui stessi possono attivare la vita da soli, senza avere bisogno di nessuno, senza dover domandare che qualcuno lo faccia per loro.

– E funziona questo metodo per curarsi?

– Non ci si cura . Se ci si rompe un braccio, una volta rimesso a posto l’osso, che cosa fa sì che esso si rinsaldi? Non sono le medicine, non sono i medici, e nemmeno il ki. Anche se non si fa niente, le ossa si rinsaldano, semplicemente perché si è vivi! Se si riscopre questa capacità, tutto il corpo funzionerà in questo modo.

– E per quanto riguarda il cancro, come funziona? E’ più difficile far funzionare delle cellule che sono impazzite.

– Nel caso del cancro si tratta di pigrizia del corpo; il corpo è talmente danneggiato, che sta per morire. Ma ci sono persone che sopravvivono al cancro. Come succede? Non mi riguarda, perché non mi occupo di terapia, non mi occupo di guarire le persone. Ma ciò che è sicuro è che ci sono persone che non hanno lasciato lavorare il loro corpo; a ogni piccolo problema hanno preso delle medicine. Le cose, oggi, vanno in questo modo anche con la nascita, la gravidanza; già dall’inizio della vita si è medicalizzati, ospedalizzati, quando invece si tratta di eventi naturali, in cui la vita lavora.

– Si potrebbe allora dire che sono i pensieri a essere malati?

– Non solo. È un insieme. Tuttavia, ciò che Noguchi ha apportato di nuovo è la possibilità, a chi lo vuole, di risvegliarsi. Non si tratta di risvegliare gli individui ad ogni costo; e nemmeno di proporre un metodo geniale che guarirà tutti. Può servire solo alle persone che hanno il desiderio di andare in una certa direzione. Gli altri, i pigri, non hanno niente da fare, qui. In questa società c’è già un infinito numero di specialisti che si occupano di loro: i medici, i sacerdoti, gli psicoanalisti, i guru, eccetera. Quanto a me, preferisco vivere la mia vita totalmente, preferisco che non ci sia bisogno di occuparsi di me.

– Sul nostro giornale avevamo iniziato una discussione sul ki, su come ogni disciplina orientale lo interpreta e lo usa. Sarebbe interessante sentire anche la vostra opinione.

– Il ki è una parola intraducibile, oggi.  Ki,  Ch’i,  Spiritus. . . Che cos’è? Il ki ha mille forme: il buon ki, il cattivo ki…. si tratta di qualcosa di indefinibile. Quando si entra in un posto, in un ambiente, si può dire che si sente un certo ki. Ma quello che a qualcuno pare un ki gradevole, a un altro può sembrare completamente sgradevole. Ilki non è qualcosa di definito. Nell’Aikido, c’è senza dubbio un ki nell’attacco che arriva. Talvolta, camminando per la strada, improvvisamente si sente qualcosa sulla nuca. Ci si gira e non si vede nessuno, poi ci si accorge che da un tetto c’è un gatto che ci guarda. Si è sentito il ki dello sguardo del gatto. Come spiegarlo? Si constata, ma poter spiegare cos’è… Essere in armonia con il ki. Ma quale ki? Non è semplice.

– Ricordo una sua conferenza nella quale diceva che quando si ha male è naturale appoggiare la mano sulla parte dolorante. Per esempio, quando abbiamo il mal di testa, è un gesto naturale portare la mano alla testa e che questo è già un modo di utilizzare il ki.

– Sì, posare la mano è yuki. Quando fa male la testa, si mette la mano sulla testa e il ki passa. In questo caso si concentra il ki. Il ki c’è già, circola, ma lo si concentra. Quando si ha male da qualche parte, si posano le mani su quel punto: in questo caso è talmente semplice, non ci si pensa nemmeno, lo si fa spontaneamente. Invece, quando si fa yuki a qualcuno c’è in più la concentrazione, la direzione.

– Quindi nella vostra scuola voi praticate yuki gli uni agli altri?

– Quando pratichiamo il movimento rigeneratore facciamo anche l’esercizio di yuki. Tuttavia, più che “fare” yuki, lo si riscopre. Si riscopre qualcosa che tutti già conoscono, una conoscenza che risale a quando si era bambini.

– La traduzione di yuki?

– “Ki gioioso”.

La percezione del sacro

– Il seitai si rifà a una tradizione religiosa di qualche tipo, come l’aikido?

– Né l’uno né l’altro seguono un credo religioso.

regis soavi aikido

Però Ueshiba era talmente influenzato dall’Omoto-kyo (una setta shintoista) che nel suo pensiero l’aikido e la religiosità non sono sempre ben distinguibili.

-Ma l’aikido in sé non è affatto religioso. Si iscrive in una tradizione sacra, questo sì. Sicuramente Ueshiba aveva un rapporto molto forte con il sacro. E anche il maestro Tsuda considerava il  dojo   come uno spazio sacro. Del resto cos’ è il dojo ? E’ uno spazio dove pratichiamo la Via. E la Via è resa in giapponese con l’ideogramma di “Tao”. Non si pratica la Via dappertutto.C’ è bisogno di uno spazio consacrato a questo scopo.

– Ma cos’ è il sacro per lei?

– Non posso darne una definizione precisa. Resta il fatto che le persone dicono  “Il sacro sì, la religione no !”  Devo tenere conto degli individui che leggeranno il giornale . Una particolarità della nostra scuola è che non si pratica davanti a una foto di Ueshiba o di Tsuda, ma davanti a una calligrafia; la calligrafia appesa in questo dojo , per esempio, è  “Mu” , il vuoto.

– E usate la stessa calligrafia in ogni dojo?

– No. A Tolosa hanno una calligrafia che significa “Il drago esce dallo stagno dove giaceva addormentato”.  Ad Avezzano hanno una calligrafia che significa  “Bodai” , ovvero lo   “stato del risveglio, dell’illuminazione” .

– Che significato ha questa abitudine?

– Praticare davanti a una calligrafia crea un ambiente diverso che praticare davanti a una foto. Mettermi davanti a una calligrafia che significa   “vuoto”  personalmente mi riempie. Praticare davanti alla foto di un personaggio, fosse anche il fondatore della scuola, mi sembra un atteggiamento religioso, devozionale. Ueshiba non praticava davanti a una foto. Una calligrafia è “vuota”. E poi tengo molto a che le persone che vengono in un dojo comprendano il senso del sacro ma anche che non ci sono dèi da venerare qui. Non ci occupiamo delle credenze religiose o politiche delle persone. Allo stesso tempo, questo luogo, non è soltanto fisico. Non è una palestra, dove ci si allena, si suda e si fa la doccia.È un dojo permanente, dove non si praticano che l’Aikido e il movimento rigeneratore.

– Penso che le persone siano interessate anche a conoscere l’origine, che sia culturale, filosofica o religiosa delle discipline che praticano. Nella tradizione cinese, per esempio, le arti marziali classiche hanno avuto se non inizio, per lo meno un grande sviluppo all’interno di monasteri , buddhisti e taoisti.

– Tutto ha avuto inizio con la religione. Anche l’arte in Europa ha avuto inizio con la religione. Adesso è la pubblicità che dà impulso all’arte. La pubblicità è la nuova religione. Lo stesso Ueshiba diceva che l’Aikido non è una religione ma che, semmai, esso illumina le religioni, permettendo una migliore comprensione. Del resto, lui stesso recitava il   “norito”  davanti a piccoli altari buddhisti o shintoisti, o persino davanti a immagini di Gesù.

– Perché recitate il   norito  , quest’invocazione shintoista prima della pratica?

– Non è shintoista. Non so cosa sia. Dico che non è shintoista perché è qualcosa di più antico, qualcosa che è stato poi adottato dallo  shinto  . Il Maestro Ueshiba in questo caso parlava di   “kotodama” . Che cos’è il  kotodama ? E’ la risonanza.

– Come un mantra?

– Se si vuole. Lo shinto ha attinto a origini più antiche; così come il cattolicesimo che ha integrato le tradizioni più antiche della Pasqua  ( che era in origine una ricorrenza ebraica)  e del Natale (i   “Saturnalia”  romani; lo   “Yule”  celtico e nordico).

– In cosa consiste?

– E’ un piccolo testo. Ci vogliono pochi minuti per recitarlo.

– E insegnate ai praticanti il significato di queste parole ?

– No. Quello che conta di più è la vibrazione, la risonanza.

– Quindi le persone accettano di partecipare a qualcosa che non comprendono?

– Sì.

– Ma lei comprende il senso di questo testo?

– No. E’ la sensazione interiore che mi importa di più. Si fanno tante cose che non si capiscono, ma che si sentono.

Ognuno sa già tutto ciò che gli serve

– A una persona che si avvicina a un’ arte marziale, è sempre richiesto un grande atto di fiducia nel maestro. Il praticante suppone che un giorno arriverà a capire, che otterrà dei risultati. Spera di ottenere degli effetti visibili, la prova che ciò che sta facendo funziona, anche se forse non a breve termine.

– Ci si comporta sempre in funzione del ragionamento.Si fa qualcosa, poi si comprende, poi si diventa, eccetera.Invece con il Maestro Tsuda si scopriva qualcos’ altro.Ho praticato l’Aikido con altri maestri prima di lui, ho conosciuto diverse scuole e forme, ma con Tsuda ho scoperto la  non-forma : di fatto la forma esiste, ma è molto vaga.

Con Tsuda si cambia orientamento. Nella pratica, come lui l’insegnava, ci si ritrovava. Questa sensazione di ritrovarmi è ciò che mi ha portato a lasciare tutto quello che facevo d’altro: l’Aikido delle federazioni, il Ju-jitsu, eccetera. Non si ha più bisogno di spiegazioni. Credo che le persone che vengono qui sentano questo. Riscoprono la sensazione. Non hanno bisogno che si spieghi loro che fanno questo per una ragione, quest’altro per un’altra… Sentono, vedono, comprendono interiormente, scoprono; è questo ciò che conta di più per loro.In ogni modo, le conseguenze della conoscenza oggi sono cattive. Più si scoprono delle cose, più si pongono dei problemi. Non voglio dire che non si debba conoscere nulla o imparare nulla, però bisogna avere fiducia in ciò che vi è di istintivo negli esseri umani; nell’intuizione delle donne quando si occupano dei loro figli appena nati, per esempio. Quando una donna prende in braccio un neonato, non si domanda:  “Chissà se ha fame, se ha fatto pipì, se ha sonno, se ha sete?”.  Lei sa già di cosa ha bisogno il bambino, intuitivamente. Lo ha sempre saputo. Quando era bambina non aveva bisogno di utilizzare questa conoscenza ma quando diventa madre, l’utilizza e basta.Le persone sentono , ma normalmente questo tipo di percezione si arresta all’inconscio, non emerge. E quindi, ufficialmente, si dice “Non lo so”, ma in fondo, sappiamo già tutto.

La responsabilità individuale

– Che cosa propone, in definitiva, la scuola del Maestro Tsuda?

– Semplicemente dare alle persone un luogo dove si possono scoprire autonome , responsabili. Per esempio qui a Milano, il dojo si chiama  “Scuola della Respirazione”  e sono i membri stessi della scuola che lo gestiscono e condividono ogni tipo di responsabilità. Ci sono naturalmente delle persone che vengono agli  stages  per avere delle soluzioni ai loro problemi, ma non è quello che proponiamo noi; non proponiamo nemmeno un modello ideale che basta copiare per sistemarsi la vita. Ed è per questo che l’Aikido che noi pratichiamo è diretto a individui molto diversi tra loro: non è assolutamente  “uno stile, una scuola”.  Siamo individui diversi che praticano insieme, per ritrovare quello che di più profondo abbiamo; chi viene qui non viene per essere  “preso a carico”  dagli altri. Viene per scoprire qualcosa che gli deve servire nella vita quotidiana e che, altrimenti, non ha valore.

regis soavi stage été

– Degli esempi concreti su come la vostra pratica possa servire nella vita quotidiana?

– Gli individui sono meno stressati, si prendono più tempo per sé, sono più concentrati. Attenzione, non è un metodo “miracoloso” che rende tutte le persone belle, intelligenti, ricche e generose. Può servire nel lavoro, nel rapporto con gli altri, nel rapporto con i propri figli, ma non è una panacea.

– Ci sono delle persone che cominciano a praticare le arti marziali per essere più forti, ma poi vi scoprono altre cose, altri valori. Si può , per esempio, imparare a cedere invece che aggredire, come insegna il Taiji, si  “fa entrare”  l’avversario, invece che opporgli un blocco e poi si va nella stessa sua direzione, si sfrutta il suo movimento. E’ un atteggiamento trasferibile anche ai rapporti umani al di fuori della palestra.

-Infatti, invece di avere delle relazioni aggressive con gli altri esseri umani si può entrare in armonia e trovare qualcosa di più vero. Oggi le relazioni tra esseri umani sono troppo superficiali. Non ci si occupa più dei bambini: vengono messi al nido, poi a scuola, poi fanno il servizio militare… Ritrovare il contatto è importante. O ritrovare il piacere di lavorare e di fare un lavoro perché ci interessa. Questo non vuol dire che dobbiamo comportarci tutti allo stesso modo. Per ognuno di noi sono importanti cose diverse. Si rispetta il ritmo di ognuno. Alcuni ci mettono cent’anni a scoprire le cose più semplici e altri le scoprono subito, ma non per questo le utilizzano; scoprono in fretta un sacco di cose e poi spariscono.

– L’importante è che sia servito loro.

– L’importante è che esistano luoghi come questo, dove le persone che cercano possano venire a trovare.

– Ma forse, ancora più importante è che una volta che si è trovato, si cominci a dare . Che il fatto di aver trovato, possa servire a qualcuno.

– Sono d’accordo, ma ci sono molte persone che esistono solo in funzione del dare: e danno, danno. Alla fine gli altri non ne possono più di ricevere. È come quando si dà da mangiare al proprio bimbo: “Un cucchiaio per la mamma un cucchiaio per il papà un cucchiaio per la sorellina”; il bambino alla fine scoppia, non ne può più. I genitori fanno questo “per il nostro bene”. Ma anche i dittatori fanno delle cose “per il bene della nazione” Cosa si può fare per il bene degli altri? Un sacco di cose.

– Questa è un’espressione di egocentrismo .

– Certo. Ci sono anche delle persone che danno agli altri per non fare loro stessi o per se stessi. Sono piuttosto diffidente al riguardo. Ma è vero che se si dà in modo giusto, equilibrato, lo si sente, è qualcosa di vero.

– E’ per questo che in certe forme di arti marziali influenzate dallo zen, si cerca di eliminare l’ego…

– Ma non è possibile eliminare l’ego. Si può dire che non si deve essere egoisti o egocentrici. Il piccolo sé rappresenta l’unità della nostra personalità: l’importante è che non diventi il “padrone”.

Finita la sessione, i praticanti della Scuola della Respirazione, tirano fuori un lungo e basso tavolo attorno al quale fanno colazione tutti insieme, seduti per terra sui tatami.Nonostante siano ormai le otto passate e tutti siano completamente svegli, il tono delle voci resta smorzato, quasi a voler rimandare il più possibile l’entrata nel ritmo quotidiano e vociferante della città, e a trattenere il più possibile quest’altro ritmo, più interiore e pacifico, per sé.

Articolo di Monica Rossi pubblicato sulla rivista “Arti d’Oriente” (num.2 / febbraio 1999)