Senpai-kohai: la gerarchia dell’ombra

La Scuola Itsuo Tsuda è una scuola senza gradi, in cui si può riscoprire la libertà di esprimersi, di intervenire, di interagire tra persone, senza bisogno di fare riferimento ai nostri “livelli” rispettivi per determinare chi ha diritto di parola e chi ha diritto di ascoltare. Tuttavia la nostra scuola non è priva di una forma di gerarchia – implicita, in movimento, viva – sta ad ognuno sentirla e valutarla. Una ricerca che è parte integrante della nostra pratica. In un articolo pubblicato nel novembre 2019 sul suo blog, Ellis Amdur, praticante e ricercatore riconosciuto nelle arti marziali giapponesi tradizionali(1), ci racconta attraverso la relazione senpai(2)-kohai(3) nei koryu(4) una storia di questa gerarchia dell’ombra.

Régis Soavi senpai-kohai

Ringraziamo Ellis Amdur di averci permesso di condividere e di tradurre questo articolo [traduzione di Andrea Quartino].

Diversi anni fa, i miei amici Phil e Nobuko Relnick, praticanti di livello elevato della Shinto Muso-ryu e della Tenshin Shoden Katori Shinto-ryu, erano in viaggio in Portogallo. Visitarono una scuola di jogo do pau(5). Volevano mostrare il dovuto rispetto alla scuola che stavano visitando e chiesero, come si usa in Giappone: “Chi è l’istruttore?”. Perplessi, i più anziani conferirono tra loro e indicando un uomo, dissero: “ Probabilmente lui. È il più anziano.”

Le arti marziali radicate in un luogo, sia esso un villaggio, un gruppo di cacciatori-raccoglitori o una fazione in una città, spesso non avevano gradi, nel senso in cui lo immaginiamo. Piuttosto, le persone più competenti (quale che fosse la loro età) erano apprezzate e rispettate per la loro utilità mentre gli anziani erano rispettati per la loro conoscenza, storia e autorità in quanto anziani. Questo è certamente vero per il Giappone. Per migliaia di anni, i villaggi e i cacciatori-raccoglitori si sono protetti e organizzati con gli stessi sistemi gerarchici che mantenevano intatto il resto della società. Competenze e valore portavano riconoscimenti, mentre anni e esperienza portavano autorità. Anche dopo che il governo centrale di Yamato si unificò con la costruzione di un esercito di leva, c’erano nelle regioni di confine bande di guerrieri che finirono con il diventare i bushi. Avevano dei capi, certo, ma all’interno delle loro bande, l’anzianità (fosse per l’età o per il momento di arrivo nel gruppo) aveva un peso considerevole. Questo vale ancora oggi nelle arti marziali giapponesi. I senpai hanno autorità solo perché sono arrivati prima.

Potrei facilmente dilungarmi sui problemi che possono emergere in un sistema simile; i sistemi delle scuole superiori e dei club delle università giapponesi sono pieni di abusi, e il livello terrificante di atrocità commesse dai Giapponesi durante la Seconda Guerra mondiale, in cui alcune regioni della Cina furono trasformate in campi di Auschwitz a cielo aperto, fu in gran parte alimentato dalla percezione dell’impossibilità di sfidare le richieste dei propri superiori. Ma rimandiamo queste discussioni a un’altra volta. È facile concentrarsi sul peggio, particolarmente quando si parla di cultura marziale che riguarda prima di tutto la violenza. All’interno di quella stessa cultura marziale esistono alcuni degli aspetti migliori dell’umanità, e anche questo è favorito in parte da un sistema naturale di anzianità.

Parliamo più specificamente del ruolo dell’anzianità nel koryū bujustu(6). Ci sono due aspetti dell’anzianità: il più ovvio è essersi unito prima al ryūha(7); il secondo è essere entrato prima in uno specifico dojo, perché i dojo, diretti da diversi shihan(8), possono avere culture e gerarchie diverse all’interno delle quali un ospite proveniente da un altro dojo – un “mezzo esterno” – deve trovare il suo posto. Un esempio perfetto di questa complessità viene fornito da uno dei miei allievi più anziani, G. M., che ha iniziato a praticare il Toda-ha Buko-ryu(9) al dojo Hokusei di Atene. Si trasferì in Giappone e, quando questa decisione si rivelò a lungo termine, si unì ufficialmente al Nakano Dojo di Kent Sorensen sensei, soke-dairi del ryu, diventando suo allievo. In termini di anni di pratica nella Toda-ha Buko-ryu, direi che era in un certo senso tra i membri medi e avanzati del Dojo Nakano, ma d’altra parte era il membro più giovane del dojo al momento del suo arrivo. Ha quindi dovuto trovare il suo posto.

Régis Soavi senpai-kohai

È ancora più complesso, perché entrano in gioco anche i gradi ricevuti (shoden, chūden, okuden, o mokuroku, menkyō, inka, per citare due “serie” di gradi). Allora come “calibrare” questi diversi aspetti dell’anzianità che si sovrappongono ed entrano un poco in conflitto tra loro? Kan (勘), l’ “intuizione”, qualcosa che si basa sulla conoscenza culturale, sull’osservazione del modo in cui la persona alla guida del dojo tratta ogni individuo e come la persona in questione si integra nella cultura del dojo. E, se questo non funziona, i più anziani (e, raramente, lo shihan) aiutano il nuovo venuto a “ri-calibrare” per integrarsi in modo adeguato.

Si potrebbe chiedere: la scuola non dovrebbe avere un regolamento, un manuale di comportamento, che verrebbe consegnato all’allievo quando arriva? Ebbene, potrebbe esserci, ma solo in termini più generali. In molte scuole, si presta un kishomon (giuramento di sangue) che fornisce alcune condizioni generali per poter entrare. (Vedere il libro Old School(10) per un’analisi approfondita di questi giuramenti.) Il kishomon tuttavia dà solo alcune condizioni, mentre qui stiamo parlando di una serie molto complessa di valori e comportamenti, la somma totale della cultura marziale arcaica giapponese. Notate questa espressione: “cultura marziale”. Per sopravvivere realmente in incontri ad alto rischio, bisogna sviluppare una spiccata sensibilità verso gli altri, sia verso i nostri alleati sia verso i nostri nemici. Sviluppare il kan è essenziale. Come si può sviluppare la capacità di intuire il livello di fiducia della propria gente, o le intenzioni degli avversari, se non è parte dell’allenamento? Essere sempre vigili, preoccuparsi di poter offendere gravemente il proprio insegnante o gli anziani del proprio dojo, tutto ciò richiede che si sviluppi una sensibilità acuta momento per momento. Paradossalmente, l’allievo che vi riesce impara a distendersi anche quando si mantiene vigile, qualcosa che ho chiamato altrove come “etichetta del branco di lupi”. Un insieme di regole, imparate a memoria, saranno applicate prima di tutto in modo artificiale, e in secondo luogo priveranno l’allievo dell’opportunità di sviluppare quello che conta veramente :– reigi (atteggiamento formale/corretto) è in fin dei conti la strada maestra verso il kan.

Quali sono, nello specifico, le responsabilità degli anziani (senpai)? In generale, l’anziano è responsabile del mantenimento della cultura della scuola, e si esprime in nome di quello che crede sia la volontà dell’insegnante. Un modo semplice per pensare al ruolo dell’anziano è quello di un fratello maggiore. Anche se il fratello minore è riuscito meglio nella vita, nel lavoro, ecc., le parole del fratello maggiore dovrebbero contare ancora.

Ecco alcuni esempi:

  • un nuovo allievo ha una cattiva igiene – il suo keikogi puzza, il suo alito è orribile, oppure i vestiti che porta per praticare sono sporchi o in disordine. Lo shihan della scuola non dovrebbe MAI essere messo nella posizione di dire all’allievo di pulirsi. Gli anziani del dojo parlano a questa persona, le dicono di occuparsi del problema – con tatto ed educazione. Se continua, diventeranno più fermi. Alla fine, se il problema persiste, possono dirgli, presumibilmente, di non tornare finché non ha risolto il problema.
  • Una persona inizia a discutere oppure a insegnare agli altri, davanti all’istruttore, senza l’autorizzazione. Anche se di un livello più basso rispetto alla persona che parla senza autorizzazione, un anziano può e dovrebbe ribattere all’altro, ricordandogli che viene al dojo per studiare con lo shihan e dicendogli “parlando, impedisci l’insegnamento di Sensei perché prendi tutto lo spazio”.
  • Un giovane allievo pieno di vitalità pratica troppo vigorosamente – forse pericolosamente – con gli altri allievi. È responsabilità degli anziani informarlo che deve rallentare il ritmo. Idealmente, l’anziano può se necessario sopraffare fisicamente la persona vigorosa ma, anche se non è possibile, deve comunque intervenire per risistemare le cose. Solo se questo intervento non funziona, da parte di uno o più anziani, si dovrebbe coinvolgere lo shihan.

Quali sono le responsabilità dell’allievo meno avanzato (kohai)? Come un “fratello minore”, la sua responsabilità è di prestare attenzione ai i propri fratelli e sorelle maggiori per avere una guida sulla cultura del dojo e sul comportamento appropriato da avere, tanto durante la pratica che nelle interazioni sociali fuori dal dojo. Un’obiezione potrebbe tuttavia essere sollevata, vista la mia breve allusione più sopra ai potenziali abusi del sistema senpaikohai. Abbiamo ancora bisogno di questo sistema? Assolutamente. È attraverso questo sistema che il koryū bujustsu è stato conservato nel corso delle generazioni. Senza di esso, saremmo radicalmente cambiati in un modo che minaccerebbe il futuro di una tradizione marziale qual è un autentico koryu.

senpai-kohai

Tuttavia, un tale sistema può presumibilmente diventare corrotto. Noi, giapponesi e non, siamo anche degli esseri umani autonomi del XXI secolo e non dovremmo mai accettare nulla che sia un abuso o immorale in nome di questo sistema arcaico. Se dovesse accadere, è compito del kohai (o del senpai) prendere posizione e obiettare, idealmente facendolo dapprima con gli anziani e le anziane a lui più vicine: e farlo con forza e dignità. Si spera che tale obiezione cambi qualcosa di tossico nella cultura del dojo. Solo in caso di fallimento lo shihan dovrebbe essere coinvolto (o, in certi casi, essere informato del problema, idealmente lo shihan potrebbe anche non venire a conoscenza dell’accaduto). Se non riuscite in questo tentativo di rimostranza, siete ad un bivio: forse resterete, accettando la situazione (e a volte vi renderete conto che ciò che una volta trovavate riprovevole è qualcosa che vedete in modo diverso, col passare del tempo); forse lo troverete insopportabile e dovrete andarvene (o sarete mandato via). Così Sia. In un caso ipotetico così estremo, perdereste la vostra appartenenza all’associazione, ma conservereste la vostra integrità. Ma questo scenario è il peggiore dei casi, estremamente raro in qualsiasi scuola.

Tornando dalla drammaticità del caso peggiore alla realtà quotidiana, un ryuha è come una famiglia – e i nostri fratelli maggiori, nel migliore dei casi, ci guidano, e i nostri fratelli minori si sforzano di superarci, sempre dimostrando rispetto.

Notes :

1) I suoi testi possono essere consultati su https://edgeworkbooks.com
2) Lett. compagno-prima: maggiore (come sensei, lett. nato-prima, maestro)
3) Lett. compagno-dopo: minore
4) Lett. antica-tradizione: antica scuola tradizionale
5) Lett. gioco di bastone: arte marziale portoghese che si pratica con un bastone
6) Tradizione marziale dei koryu
7) Sinonimo di ryu
8) Praticante insegnante modello
9) Un koryu che risale al XVI secolo di cui Ellis Amdur, il defunto Pierre Simon et Claire Seika sono shihan
10) Ellis Amdur, Old School: Essays on Japanese Martial Traditions, feb. 2015