Una Scuola della sensazione

di Manon SoaviAl giorno d’oggi, alcuni di noi non vogliono più sentire. Non sentire più il caldo, il freddo, il dolore o la stanchezza. A mano a mano che l’individuo si piega agli imperativi sociali, alle norme e ai consigli, trascurando i bisogni specifici del corpo, diventa insensibile. Molto spesso allora non si sente più con precisione se si ha fame o meno, se si ha voglia di finocchio, formaggio o carne. Alcuni non sanno più se i loro piedi sono caldi o freddi. E in fondo sentire fa paura…Sempre di più, a causa delle condizioni in cui viviamo, perdiamo la nostra facoltà di sentire. Sentire l’ambiente, gli altri e soprattutto sentire noi stessi. Eppure come autodeterminarsi, orientarsi nella propria vita se non ci si sente? O in modo non abbastanza fine? Nell’insegnamento di Tsuda Sensei questa domanda era essenziale e egli utilizzava le pratiche dell’Aikido e del Seitai come strumenti per ritrovare la sensibilità, questa capacità tanto denigrata perché confusa con il sentimentalismo. Il primo dojo di mio padre, Régis Soavi, aperto nel 1984, si chiamava École de la Sensation, (Scuola della Sensazione), per dire fino a che punto sia un asse importante nella nostra Scuola.Per Tsuda Sensei inizia un processo di ritrovamento della sensibilità grazie al fatto di prestare regolarmente attenzione a fenomeni che il più delle volte trascuriamo. Lo scrisse con il suo stile inimitabile “Non sta a me dire che un sistema è migliore di un altro. È il campo della politica, o quello del riformatore. Mi accontento di annusare frammenti di informazioni qua e là, e di chiedermi se un tale odore non provenga dal vino di Bordeaux, dalla birra belga o dalla zuppa di cipolle. E aspetto la conferma.Le mie osservazioni non sono scientifiche, sono solo sensazioni. Le mie sensazioni sono più o meno attenuate come quelle di tutti i civilizzati che sono formati secondo l’educazione moderna, vale a dire sotto la pressione dei vari sistemi.Cerco però di ravvivare le mie sensazioni, di purificarle per non confondere il vino con la birra.”(1)Ma a che serve ravvivare le proprie sensazioni? Per molte persone la sensazione è piuttosto imbarazzante. Oppure si dovrebbero sentire solo le cose buone, le cose divertenti e belle. Purtroppo (o per fortuna?) la sensazione è un tutto, inscindibile e necessario per l’essere umano. “La sensazione è un’attività vitale che assicura un aggancio al mondo reale”(2) diceva Tsuda Sensei.Attraverso la sua ricerca filosofica e la sua doppia formazione (giapponese per le pratiche del corpo, occidentale per l’antropologia e la sociologia), Itsuo Tsuda ha cercato di far vedere ciò che perdiamo diventando insensibili. Far vedere che, nonostante gli apparenti vantaggi a breve termine di non sentire più, ne usciamo sminuiti, indeboliti. Il suo percorso lo ha portato a capire che più ci circondiamo di oggetti e tecnologie che ci aiutano, ci sostengono, più ci affidiamo ad esse per fare le cose, e più gradualmente perdiamo la capacità di fare noi stessi. Questo non è grave di per sé e fa parte delle capacità evolutive. Scrive a questo proposito il paleoantropologo Pascal Picq: “Le innovazioni tecniche e culturali sono in realtà le cause delle nostre trasformazioni biologiche. [?] Da Erectus, i fattori comportamentali e culturali sono diventati essi stessi motori di trasformazioni evolutive: biologia e cultura intrecciano interazioni sempre più complesse, anche negli aspetti più fondamentali che costituiscono gli esseri umani [?].(3) I problemi sorgono quando siamo talmente supportati da ogni parte che diventiamo incapaci di fare le cose da soli. Non si tratta di rifiutare qualsiasi evoluzione tecnologica ma di tener conto nell’equazione di ciò che si perde con ogni dipendenza. Tsuda Sensei si rammaricava di essere stato “inondato da queste paccottiglie scientifiche che ci tolgono ogni possibilità di esercitare la nostra facoltà di concentrare l’attenzione e di sentire.”(4)

Sei, vita, calligrafia di Itsuo Tsuda. La sensation de la vie
Sei, vita, calligrafia di Itsuo Tsuda.

Sentire la vita in ogni cosa

Itsuo Tsuda come giapponese e con il suo sguardo da antropologo faceva emergere le differenze di approccio tra Oriente e Occidente. Non per classificarle o contrapporle, ma al contrario, perché potessero arricchirsi a vicenda. Tra le caratteristiche principali della visione tradizionale giapponese, Hiroyuki Noguchi (dalla famiglia di Haruchika Noguchi, creatore del Seitai) parla della nozione di Sentire la vita in ogni cosa come di un asse essenziale della concezione della vita dei giapponesi. Il riconoscimento dell’onnipresenza della vita era la chiave di volta dell’esperienza umana giapponese e portava a tutti la certezza di una corrispondenza tra tutte le cose. Possiamo dire che la società occidentale che si è composta dall’età dell’Illuminismo si è basata su parametri di riferimento esterni all’uomo, movimento dei pianeti per il suo calendario, divisione del tempo basata su un calcolo matematico, misurazione delle temperature su scala centesimale, ecc. Il carattere predominante è dell’ordine dell’astrazione e dell’oggettività.Eppure sappiamo tutti che un’ora in buona compagnia passa più velocemente di un’ora in metropolitana o in ufficio, se lì ci si annoia. O addirittura passa più velocemente di quindici minuti di attesa di un autobus. Il punto è il sistema di riferimento: per essere organizzati nella società abbiamo bisogno di un sistema di riferimento esterno, ma la percezione umana si basa sui nostri stessi sistemi di riferimento che sono le nostre sensazioni, che sono totalmente soggettive e dipendono dal nostro stato, dalla situazione, ecc.Al contrario, la società giapponese, più di un secolo fa, era interamente fondata sull’esperienza diretta e sul rapporto sensibile dell’uomo con il suo ambiente e con se stesso. Il punto di riferimento era la sensazione. Ad esempio, il calendario tradizionale era calcolato secondo il ritmo delle stagioni e dei cicli di vita degli animali. Così, cambiava ogni anno e dava più importanza al modo in cui gli uomini vivevano le stagioni piuttosto che alle date. Nella musica, era il ritmo della marcia a stabilire il tempo e non il metronomo. Allo stesso modo in tutti i campi dell’artigianato, i maestri (tintori, vasai, fabbri, falegnami…) consideravano vivi i materiali che usavano. Ciò che contava di più era la sensibilità esercitata nel rapporto tra l’uomo e il materiale con cui lavorava.Si può anche notare che tutte le culture antiche avevano questo tipo di approccio basato sull’individuo fino a che non venivano organizzate in maniera sistematica da un sapere ufficiale, spesso scollegato dalla realtà mutevole e territoriale. Queste conoscenze del territorio, in contatto con la realtà delle persone, sono chiamate conoscenze vernacolari. L’antropologo James Scott fa un esempio: “[?] il consiglio dato dal nativo americano Squanto ai coloni bianchi del New England su quale fosse il momento migliore per seminare una pianta che non conoscevano ancora: il mais. Stando a quel che si dice, suggerì loro ‘di piantarlo quando le foglie di quercia sono della misura di un orecchio di scoiattolo.'(5) James Scott fa notare che un almanacco contadino avrebbe indicato una data, o un periodo, ma che una data non avrebbe tenuto conto delle differenze tra ogni anno, le differenze tra un campo al nord o un campo che beneficia più a lungo dei raggi del sole. La singola prescrizione si adatta male al contesto, mentre un’indicazione vernacolare si basa sulla persona che può fare questa osservazione rigorosa degli eventi primaverili, che si verificano ogni anno, ma ogni volta in modo diverso, più precocemente o più tardi. La conoscenza vernacolare non è né trasponibile né universale, ma è verissima e reale per chi la vive direttamente.

Il Seitai

La stessa questione si ritrova nel rapporto con il corpo. Stessa inversione anche del sistema di riferimento, perché piuttosto che partire dalle conoscenze mediche generali, che hanno un valore innegabile ma che difficilmente si adattano a una realtà mutevole, unica per ogni individuo, il Seitai non prende come base riferimenti esterni di peso, temperatura o analisi, per quanto sofisticate e precise, ma il campo dell’individuo, nella sua globalità. Sono le sensazioni interne che saranno le guide dell’equilibrio e della salute.La nozione di Seitai creata da Haruchika Noguchi Sensei negli anni ’50 si distingue quindi molto chiaramente dai consueti approcci terapeutici. Il suo modo di considerare l’attività del corpo si basa sulla constatazione che il corpo ha una naturale capacità di riequilibrarsi per assicurare il suo corretto funzionamento. E che se si ascolta il proprio bisogno di equilibrio, se si è abbastanza sensibili ai segnali, il corpo mantiene il suo equilibrio da solo nella maggior parte dei casi.La salute non è quindi considerata come assenza di malattia, essendo la malattia solo il sintomo di un corpo che lavora per ristabilire il suo equilibrio. È durante i suoi anni di intensa attività come professionista che Haruchika Noguchi si rende conto che a forza di cercare di facilitarsi la vita o di proteggersi per rimanere in salute, il corpo si indebolisce, con conseguente bisogno di nuovo supporto. E allo stesso tempo, se il corpo si indurisce al punto da diventare insensibile, è anche debole perché manca la flessibilità che consente la reattività: “Le persone impazienti immaginano di essere in buona salute perché non sono mai ammalate. Ma se il corpo è sensibile a un cattivo stimolo, gli resiste, lo supera e si normalizza: la valvola di sicurezza del corpo sta funzionando e attraversate la malattia. […] Se un lebbroso è ferito, non sente dolore. Se il corpo non sente che qualcosa non va, le sue capacità di rigenerarsi non vengono stimolate. Il corpo reagisce solo se è in grado di sentire che c’è qualcosa di anormale. [?] È necessario rendere il sistema extrapiramidale sensibile, in modo che le capacità di recupero dell’organismo sorgano naturalmente per correggere anche piccole anomalie. È in quest’ottica che inizio le persone al Katsugen undo.”(6) Il Katsugen undo – una pratica del Seitai – tradotto come Movimento rigeneratore da Tsuda Sensei, ha quindi in particolare questa funzione di sensibilizzare il corpo. Diventeremo più sensibili, le nostre sensazioni si affinano. Ciò non significa che non avremo mai bisogno di assistenza, tutto dipenderà dalle capacità del nostro corpo, ancora una volta nessuna verità assoluta, solo la sensazione che ci guida per sapere se abbiamo bisogno di aiuto o se il nostro corpo reagisce a una perturbazione in modo normale.Col tempo, la sensazione dei nostri stati fisici e mentali diventa più raffinata e più precisa. Allo stesso modo la nostra percezione degli stati degli altri diventa molto più chiara. Praticando lo Yuki a due nel Katsugen undo si è portati a non intervenire sugli altri, ma semplicemente a fondersi attraverso un leggero tocco sulla schiena e l’attenzione alla respirazione. A poco a poco la nostra sensazione degli altri diventa molto più penetrante, non ci accontentiamo delle parole che ci dicono, delle maschere sociali che mostrano. Non si tratta di cadere nell’interpretazione o nell’analisi. Si rimane semplici di fronte a queste sensazioni naturali sebbene spesso dimenticate.

Esercizio di sensibilità con il contatto della mano.
Esercizio di sensibilità con il contatto della mano.

L’Aikido

L’altro strumento di sensibilizzazione del corpo utilizzato nella nostra Scuola è l’Aikido. Le persone che praticano lo fanno per una serie di motivi ovviamente, ma una delle conseguenze della pratica dell’Aikido può essere una maggiore sensibilità se ci si orienta verso una certa direzione. La Scuola del maestro Sunadomari, ad esempio, accorda una grande importanza a tre principi: Ki no nagare (circolazione/flusso del ki), Kokyu Ryoku (respirazione/ritmo) e Sesshoken Ten (contatto con il partner attraverso il ki). Possiamo dire che questi principi sono anche i fondamenti della Scuola Itsuo Tsuda e che richiedono un affinamento delle nostre sensazioni per essere scoperti e messi in pratica. Non sorprende che un’attenzione costante a determinate sensazioni li sviluppi. I ricercatori che studiano la propriocezione sono colpiti dalle capacità di ciò che per loro è un senso a tutti gli effetti, e un senso che può essere addestrato. Ora stanno facendo studi per vedere come, ad esempio, in certi mestieri, sviluppiamo un acuto senso della propriocezione che abbraccia il nostro ambiente e gli altri. Lo vediamo in modo spettacolare con i piloti della Pattuglia Acrobatica Nazionale che praticano un rituale di preparazione prima di ogni volo. Questo rituale si chiama “musica”. Seduto su una sedia, ogni membro del team imita i gesti di pilotaggio della sequenza secondo gli ordini del leader. È così che le menti dei piloti provano la coreografia di una presentazione aerea mozzafiato. Una performance durante la quale, lo dicono loro stessi, non avranno tempo per pensare, saranno guidati dalle loro sensazioni interne, che allenano quotidianamente.È nella stessa disposizione di spirito che pratichiamo tutte le mattine, abbastanza lentamente. Ci sono momenti più dinamici in una seduta ovviamente, ma molto lavoro lento che richiede una certa concentrazione e attenzione alle nostre sensazioni. È necessaria anche un’attenzione a ciò che l’altro ci comunica in risposta: essa ci confermerà o meno che siamo nella giusta linea, nella giusta angolazione. Non sarà questione di misurazioni oggettive, millimetriche o altro, sarà la sensazione dell’altro, Uke o Tori, che determinerà se abbiamo fatto un Kuzushi corretto, o un Tenkan sufficiente, in quell’istante. Nell’ultima parte della seduta facciamo sempre ciò che chiamiamo movimento libero, un lavoro libero in cui il/i partner attaccano un Tori come meglio credono. Ogni Tori deve gestire gli attacchi del suo Uke, reagendo spontaneamente, perché è impossibile prevedere il movimento, non ci sono istruzioni. Siccome eseguiamo questo esercizio in ogni seduta quotidiana, tutti vi partecipano senza distinzione di livello. Spesso i principianti si tendono, la paura sale, allora bisogna che uke rallenti, che faccia degli attacchi più prevedibili in modo che Tori abbia il tempo di sentire. Perché l’obiettivo non è applicare a tutti i costi la propria tecnica o bloccare Tori. L’obiettivo è ancora esercitare la nostra sensazione, quella che ci fa reagire all’attacco in corso e deviarlo, muovendosi allo stesso tempo senza calcoli. A poco a poco, a forza di praticare lentamente, si può accelerare sempre di più, e la reazione avviene più spontaneamente. Allora la velocità dell’attacco, la sua messa in atto, o renderlo meno prevedibile, non sarà più un problema, perché saremo nel tempo. Ricordo benissimo che i miei maestri di pianoforte facevano tutti la differenza tra quando, per avere il tempo giusto, suonavo veloce e, scontenti, mi dicevano “è veloce, precipitoso, frettoloso”, e quando, a furia di esercitarmi, riuscivo a suonare veloce, ma sembrava che lo padroneggiassi. Allora non era più veloce. Era il tempo giusto eppure era la stessa velocità oggettiva con il metronomo, o addirittura più veloce, lo constatavo con rabbia! La sensazione di velocità dipende dalla padronanza del musicista e dalla percezione dell’ascoltatore. In breve, la sensazione dell’istante unico.Il grande direttore d’orchestra Sergiu Celibidache rifiutava le registrazioni dei concerti perché per lui catturavano un momento pienamente adeguato alla realtà, per farne un momento congelato, riproducibile, che diventava falso una volta tolto dal contesto. Per lui il tempo non era dell’ordine del tempo fisico, non era un dato metronomico ma una condizione che fa sì che le manifestazioni musicali si esprimano.

Il tatto

In molte arti marziali l’ottenimento di capacità particolari di percepire gli attacchi prima che accadano è stato oggetto di ricerca e di fascino. Yomi, Hy?shi, Metsuke, Yi, ecc., tutti questi “concetti” parlano di questo, di sensibilità smisurate, necessarie per il vero combattimento ovviamente. Ma c’è un senso ancora più banale che la nostra società sta sempre più dimenticando, arrivando oggi al culmine: il semplice tatto. Eppure, questo senso primario, banale, è vitale per noi.Può essere triste dover aspettare che i ricercatori confermino ciò che sappiamo intuitivamente, ma il tatto è letteralmente un senso vitale. È il primo senso a svilupparsi nel neonato ed è l’ultimo alla fine della vita, mentre gli altri sensi declinano, le fibre nervose cutanee che reagiscono al tatto rimangono vitali la maggior parte del tempo fino alla fine. È la prima e l’ultima modalità di comunicazione tra gli esseri umani. Ancora più importante, il contatto fisico rappresenta un bisogno vitale: essere toccati è indispensabile per un buono sviluppo fisico, immunitario e cerebrale. In assenza di un contatto fisico regolare nell’infanzia, i disturbi sono molteplici e catastrofici. Anche per un adulto, essere privato del contatto fisico per troppo tempo porta a problemi fisici e psicologici. Per Francis Mcglone, uno dei più importanti neuroscienziati che studia il tatto, “Per noi il tatto è indispensabile tanto quanto l’aria che respiriamo e il cibo che mangiamo. […] Il rischio di morte prematura dovuto al consumo di tabacco, al diabete o all’inquinamento è di circa il 40%. Quello dovuto alla solitudine è del 45%. Ma nessuno si è ancora davvero reso conto che ciò che manca alle persone sole è proprio il contatto fisico”.(7)Inoltre, secondo questa ricerca, il corpo si disabitua e quindi tollera sempre meno di essere toccato, sebbene i danni causati da questa assenza si facciano sentire. C’è un processo di desensibilizzazione. Questo è in linea con il punto di vista di Tsuda Sensei per il quale “L’organismo si difende indurendosi. Si diventa insensibili alle sensazioni esterne e interne. Non ci viene neanche il raffreddore. Si è robusti. […] L’indurimento ci procura una parvenza di salute che fa invidia alla gente che soffre continuamente di piccoli malanni. […] Si perde a poco a poco la finezza nell’espressione e si diventa rigidi. La robustezza ha il proprio rovescio della medaglia: la fragilità. […] Mubyo-byo, malattia senza malattia, è così che il Maestro Noguchi definisce questo stato di desensibilizzazione che isola l’uomo dal proprio ambiente.”(8)Fortunatamente questo processo non è irreversibile e si può iniziare il cammino inverso, per risensibilizzare il corpo. Le arti marziali con il contatto sono fra le ultime roccaforti, insieme alla danza probabilmente, dove toccarsi è ancora possibile, dove sono le informazioni trasmesse dal tocco che saranno decisive per la nostra reazione. Per conservare o ritrovare la sensibilità che si ricollega con le nostre capacità umane.Note:1) Itsuo Tsuda, La Voie des Dieux, Le Courrier du Livre, 1982, p. 12.2) Itsuo Tsuda, Uno, Yume Editions, 2020, pp. 37 e 38.3) Pascal Picq, Et l’évolution créa la femme, Odile Jacob, 2020, p. 243.4) Itsuo Tsuda, Uno, Yume Editions, 2020, p. 105.5) James C.Scott, Elogio dell’anarchismo, Elèuthera, 2014, p. 60.6) Haruchika Noguchi, Order, Spontaneity and the Body, Zensei, 1984, traduzione della Scuola Itsuo Tsuda.7) Francis Mcglone, dans Le pouvoir des caresses, documentaire de D.Kaden, Allemagne, 2020, production Arte.8) Itsuo Tsuda, La Scienza del Particolare, Yume Editions, 2019, p. 25.