Di Régis Soavi“Il maestro non chiede altro che essere derubato del proprio insegnamento che, per lui, è di una semplicità estrema, ma che, per gli altri appare misterioso, incomprensibile, inverosimile.” (Tsuda Itsuo, Le Triangle instable, Le Courrier du Livre, 1980, p. 132.)
Vedere, sentire
Anche se si inizia l’Aikido con delle idee superficiali provenienti dal mondo che ci circonda, è importante che poco a poco esse si avvicinino alla realtà e diventino uno strumento per riappropriarsi del corpo, il nostro corpo autentico.Ad ogni seduta che conduco, dopo la prima parte che ognuno esegue da solo ma in armonia con gli altri, e che è basata essenzialmente su degli esercizi di circolazione del Ki, comincio con la dimostrazione di una tecnica che, a priori, molti praticanti già conoscono. Tutta l’arte della dimostrazione consiste nel far passare un messaggio attraverso il movimento effettuato. Vi è l’avvio di un dialogo, non è solamente una tecnica e neanche un modo di fare perché ogni praticante, in rapporto al suo livello, alla sua attenzione, come alla sua capacità del momento, deve potervi trovare quello che gli è necessario per approfondire la sua pratica. Si tratta più di una trasmissione che di qualsiasi altra cosa. Insisto su un elemento, la precisione, la distanza, o qualsiasi altra particolarità, affinché qualcosa che tengo a rendere concreto sia ben visibile e diventi una forma evidente per la semplicità con cui lo mostro e affinché, attraverso il lavoro e l’allenamento che seguono, il corpo nel suo insieme non debba più riflettere ma agisca naturalmente ritrovando la spontaneità.

Cesellare un insetto, incidere un fiore
C’è un’espressione comune in Cina, un proverbio, che significa “Lavoro facile” di cui i primi due ideogrammi sono come la calligrafia in stile piccolo sigillo (sigillare) di Tsuda sensei: ???? cesellare insetto piccola tecnica.Questa calligrafia (pagina a fianco) può quindi esprimere: “L’incisione di un fiore è molto facile, come anche la scultura di un insetto”.Il proverbio vuol dire che tutti possono incidere o disegnare un piccolo fiore poiché è un lavoro semplice e facile da realizzare, ma a sua volta questo indica che solo i grandi maestri possono realizzare un’opera notevole. Tutto dipende dal kokyu. Tsuda sensei si esprime sul significato di questa parola nel suo secondo libro La via della spoliazione. È raro poter disporre di una tale definizione, semplice e precisa allo stesso tempo, che permette a noi Occidentali, a priori non preparati, di comprendere il suo contenuto:”Nell’apprendimento di un’arte giapponese è sempre questione di ‘kokyu’, che è l’equivalente propriamente detto della respirazione. Ma questa parola significa anche abilità nel fare qualcosa, il trucco del mestiere. Quando non si ha ‘kokyu’, non si può eseguire qualcosa come si deve. Un cuoco ha bisogno di ‘kokyu’ per servirsi bene del proprio coltello, e l’operaio per i propri utensili. Il ‘kokyu’ non si spiega, si acquisisce. [?]Quando si acquisisce il ‘kokyu’, si ha l’impressione che utensili, macchine, materiali, fino ad allora ‘indomabili’, divengano improvvisamente docili ed obbediscano ai nostri ordini senza opporre resistenza.Il ki, il kokyu, respirazione, intuizione, ecco i temi intorno ai quali ruotano le arti ed i mestieri del Giappone. Costituiscono il segreto professionale, non perché lo si voglia custodire come un brevetto d’invenzione o come mezzo per guadagnarsi il pane, ma perché è intrasmissibile intellettualmente. La respirazione, è l’ultima parola, il segreto supremo dell’apprendimento. Solo i discepoli migliori vi accedono dopo anni di grandi e continui sforzi.” (Itsuo Tsuda, La via della spoliazione, Yume Editions, 2016, p. 35-36.)
Il ruolo dell’insegnante
Uno dei ruoli dell’insegnante – ed è ben lungi dall’essere il suo unico compito – è di agire, tra l’altro, come una sorta di direttore d’orchestra. Dà il tempo, propone diversi modi di interpretare una tecnica, di portarla in una direzione con lo scopo di conferirgli tutto il suo potenziale, allo stesso modo del Maestro d’orchestra dà delle indicazioni sul “come interpretare” un brano musicale mettendo l’accento su una nota, un insieme di note, un tratto particolare. L’insegnante come il direttore d’orchestra ha un ruolo molto importante e con la sua maniera di condurre una seduta di Aikido può renderla noiosa o accattivante; troppo rapida e senza precisione per esempio, la seduta può non centrare il proprio obiettivo nonostante l’intenzione fosse buona; come un direttore d’orchestra può far “deragliare” un brano musicale che era di grande sensibilità se si mostra troppo rigido nella sua maniera di dirigere. Né rigidi né troppo molli, allo stesso tempo morbidi e convincenti, sia l’uno che l’altro danno la propria interpretazione di quello che hanno sentito, di quello che hanno compreso della propria arte, sia della musica sia della seduta di Aikido che conducono. Un altro direttore d’orchestra o un altro insegnante vedranno altre cose, altri accenti da evidenziare, ognuno di loro insisterà su differenti aspetti.I rapporti con i musicisti come con gli allievi sono anch’essi determinanti. Se si comporta in modo dittatoriale, colui che conduce non avrà l’adesione di quelli che dovrebbero seguirlo, otterrà al massimo una sottomissione che non potrà che rendere l’opera musicale banale o il corso di Aikido senza anima e senza gioia. Sull’esempio del direttore d’orchestra che non deve dimenticare soprattutto di non essere il compositore e che deve rispettare l’opera per quello che è, o che pensa o sente che sia, l’insegnante nelle arti marziali non è il creatore di quest’arte che desidera sviluppare e far conoscere, ne è l’interprete per quanto geniale esso possa essere. Il compositore stesso, come Beethoven credo, diceva che non faceva altro che trascrivere la musica che sentiva e che preesisteva nell’universo che lo circondava. Allo stesso modo, noi non facciamo altro che interpretare quello che faceva O sensei, quello che conosciamo, quello che abbiamo potuto percepire dai video dell’epoca, quello che diversi maestri hanno saputo trasmetterci e, più precisamente, quello che personalmente ho potuto scoprire grazie al contatto diretto con Tsuda sensei durante tutti questi anni. Ma O sensei stesso considerava la sua arte come qualcosa che gli era stata data, trasmessa da qualcosa di più grande di lui, qualcosa che percepiva e che provava a comunicare attraverso i suoi movimenti, la sua persona, le sue parole, la sua postura, o semplicemente con la sua presenza.Resta il fatto che ogni seduta è una sfida e dipende dall’ambiente che siamo riusciti a creare. Il grande direttore d’orchestra Sergiu Celibidache riteneva che, quale che fosse il numero di prove, l’impegno di ogni musicista, l’attenzione del pubblico, tutto poteva essere rimesso in discussione all’ultimo momento. Il concerto, come momento di verità ultima, dipende da elementi a volte imprevedibili che, favorevoli o meno, cambiano il corso dell’evento, della dimostrazione. Il ruolo dell’insegnante consiste nel permettere ad ogni allievo di dispiegare le proprie capacità anche al di là di quello che ognuno di loro può concepire o percepire.
Un lavoro sul corpo
È grazie alla sincerità del lavoro sul corpo che possiamo farlo uscire dall’isolamento della nostra struttura mentale alienata dalle abitudini di ragionare e reagire in modo profondamente dualistico. Le dimostrazioni servono per mostrare che qualcosa è possibile e ci può permettere di cambiare ciò che ci lega se andiamo in una direzione con sincerità. Il corpo deve ritrovare la sua base naturale, quello che è realmente in profondità, e non essere modellato per seguire i desideri di un’epoca, di una moda, di un’idea di sé prestampata su un cervello reso fragile dall’ambiente circostante. La dimostrazione di una tecnica dipende da molteplici fattori che condizionano una risposta ad hoc e non una risposta incondizionata prevista dalla nomenclatura delle tecniche. Deve permettere a chiunque di sentirsi coinvolto da quello che passa sotto i suoi occhi in modo da saper reagire a seconda del bisogno, indipendentemente dal contesto ma piuttosto integrando ciò che lo circonda per creare una situazione che porterà una soluzione tranquilla, e se possibile pacifica, contrariamente a qualsiasi atto che rischierebbe di diventare sgradevole e/o persino pericoloso.

Quale partner utilizzare
Ho visto spesso degli insegnanti scegliere regolarmente il loro migliore allievo come uke. Se questa scelta sembra ragionevole nelle dimostrazioni pubbliche, al momento delle “porte aperte” in quanto si tratta di mostrare la bellezza dell’arte o la sua efficacia, senza rischi per il partner che saprà cadere in ogni circostanza, ciò non ha più senso nel quotidiano dove l’obiettivo è tutt’altro a mio avviso. Lavorare con degli anziani spesso ci valorizza per via della loro disponibilità, della qualità dei loro spostamenti, del modo di seguire che hanno ma quanto a loro l’inconveniente è che cercano spesso di mettere in risalto il proprio professore. Con un principiante, soprattutto chi è veramente principiante, è molto differente, in questo caso, non ci sono errori possibili, bisogna mostrarsi particolarmente disponibili di fronte a un corpo che non è abituato a muoversi, a reagire in tale situazione e che rischia di farsi male per niente. È indispensabile comprendere, sentire l’altro, e malgrado tutto arrivare a far passare il messaggio che si desidera per permettere l’apprendimento e lo sviluppo di persone che vengono per imparare. Ho sempre trovato interessante fare le dimostrazioni delle tecniche con persone decisamente meno preparate, se non principianti, cosa che mi permette di mostrare e anche dimostrare che l’adattamento al corpo dell’altro è uno dei segreti del Non-fare.
Il segreto di ciò che è vivo
È necessario che le dimostrazioni durante una seduta siano adattate ogni volta alle tipologie di persone che sono presenti e che, grazie a ciò, possano percepire mediante impregnazione la circolazione del Ki, cosa molto più difficile se queste dimostrazioni sono mediatizzate. I libri contenenti disegni o foto non possono servire che come supporto tecnico o un complemento talvolta indispensabile, ma non possono sostituire le dimostrazioni dal vivo. I video possono anche essere utili per conoscere le differenti scuole o i “Maestri storici”, ma anche – e forse di più – per dare un’immagine della nostra arte e in tal modo suscitare il desiderio di scoprire la sua bellezza come la sua efficacia. Tuttavia, che si tratti di musica o di arti marziali, il segreto si trova al di là della forma o dell’allenamento, è piuttosto a mio avviso nella manifestazione di ciò che è vivo, che si può scoprire solo grazie a quello che si è sentito al suo contatto. Un musicista dilettante può animare un ballo folk e permettere a un paese intero di trovare un’unità nel piacere di essere insieme perché lui stesso è parte integrante dell’ambiente. In un dojo, ciò che è vivo, e quindi il Ki, si manifesta grazie a ciò che vi è nella persona che conduce la seduta. È la qualità interiore che si esprime nelle dimostrazioni, che siano rapide o lente, possenti o sottili e penetranti. È il Ki che esse sprigionano che ci porta a cominciare la pratica dell’Aikido, che ci spinge a continuare o talvolta a fuggire da quel posto. Nulla può sostituire ciò che è vivo, né i discorsi, né i sorrisi, né le finzioni. Le dimostrazioni durante le sedute sono per me il riferimento ultimo, “un momento di verità”
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Articolo di Régis Soavi pubblicato in Self e Dragon Speciale n° 15 nel mese di ottobre del 2023.