Intervista a Régis SoaviPerché ha iniziato l’Aikido?Ho iniziato Judo-jujitsu, come si chiamava a quel tempo, nel 1962 e il nostro insegnante ce lo presentò come “la via della cedevolezza”, l’uso della forza dell’avversario. Avevo quasi dodici anni e amavo le tecniche, il disequilibrio, le cadute che potevano essere anche un superamento della tecnica subita. Il nostro istruttore ci parlava di hara, postura e sapevamo che lui stesso stava imparando l’Aikido e che aveva il grado di “gonna nera”, che era molto impressionante per noi. Gli eventi del ’68 mi hanno orientato verso delle tecniche di combattimento di strada, di kobudo e verso delle diverse tattiche. Tuttavia nel 1972 ho voluto riprendere il Judo, e mi sono iscritto in rue de la Montagne-Sainte-Genviève presso Plée sensei, potevamo praticare Judo, Karate o Aikido al prezzo di una singola quota, era ideale per allenarsi. Ma il Judo era cambiato: le categorie di peso, l’allenamento di una tecnica specifica per vincere un combattimento, ero molto deluso. Una sera dopo la seduta sono rimasto a guardare l’Aikido, era Maroteaux sensei a condurre la seduta e sono stato immediatamente conquistato.Perché continuare?Ho trovato nell’Aikido molto più di un’arte, una “Via” di grande ricchezza che, come qualsiasi via, ha bisogno solo di essere approfondita. Ogni giorno la seduta mi permette di scoprire un aspetto, di sentire che si può andare molto oltre, che sono solo sul bordo di qualcosa di più grande, come se un oceano si presentasse davanti a me. Al di là del piacere che provo, mi sembra importante testimoniarne l’esistenza.Quale aspetto ti parla di più: marziale, mistico, salute, spiritualità?Non c’è separazione per me tra tutte queste cose, sono interdipendenti.Perché crea dei dojo piuttosto che praticare in delle palestre?Capisco la sua domanda, sarebbe molto più facile utilizzare le strutture esistenti, niente da fare, nemmeno la pulizia, la direzione si farebbe carico di tutto. Avremmo la possibilità di brontolare se non è abbastanza pulito, di reclamare se qualcosa non va, tanto saremmo solo dei passanti temporanei. Ed invece, per me il dojo è di cruciale importanza. In primo luogo perché è un luogo dedicato e quindi permette un’atmosfera diversa, liberata dai vincoli delle amministrazioni, un luogo dove ci si sente a casa, dove si ha la libertà di organizzarsi come si vuole, dove si è responsabili di tutto ciò che accade. È grazie a questa messa in situazione che si può capire cos’è un dojo, e questo fa la differenza, permette una pratica che va oltre l’allenamento e porta gli individui verso l’autonomia, la responsabilità. Ma il motivo principale è che il luogo si carica dal punto di vista del KI, così come un’antica dimora, un teatro antico o certi templi. Questo caricarsi [di KI] ci permette di sentire che un altro mondo è possibile, anche all’interno di quello in cui evolviamo.Lei ha creato diversi dojo ma anche altri luoghi già a partire dagli anni ’80. Il Jardin Floréal, un luogo per i bambini, poi diversi atelier di pittura, così come una scuola di musica La Musique Buissonnière. Perché tutti questi luoghi? Cos’hanno in comune?Il mio desiderio è sempre stato quello di favorire la libertà dei corpi come delle menti, allo scopo che siano finalmente riuniti. Questo lavoro, per essere realizzato, esige una visione molto ampia senza alcuna ideologia, al di fuori dei sistemi che abbrutiscono, al di fuori della competizione, sempre alla ricerca da una parte della sensibilità, che sembra essere diventata una malattia o una tara nella nostra società, e dall’altra, e tra le altre cose, della spontaneità. Creare un giardino d’infanzia per permettere di dare delle basi di un’educazione nella libertà che favorisca in questo modo la non-scolarizzazione, degli “atelier di pittura-espressione”(1) secondo lo spirito del lavoro d’Arno Stern che sono delle bolle, che liberano l’essere umano dalla sclerosi nevrotica che lo circonda, dare la possibilità ad adulti e bambini di appassionarsi alla musica, in particolare quella classica, grazie ad una notazione musicale “la musique en clair”(2) che permette di suonare fin da subito e di scoprire il piacere di suonare senza subire l’irrigidimento della mente e del corpo organizzato dagli specialisti del solfeggio e dell’insegnamento musicale in generale. Tutto ciò sempre al servizio dell’essere umano, della possibilità di uno sviluppo armonioso dei corpi e delle menti.Lei si sceglie un ruolo da non-maestro, non è vero? In realtà lei è il sensei, colui che indica il cammino, colui che si assume la responsabilità dell’insegnamento, ma allo stesso tempo è un membro ordinario dell’associazione, che partecipa alla ricerca delle soluzioni per qualsiasi problema si presenti quotidianamente e si preoccupa tanto del riscaldamento quanto di una perdita o dei lavori di manutenzione.Vedo che ha capito molto bene la mia posizione. Questo modo di porsi è una necessità per me, è fuori questione che io mi perda, ingannato da un potere fittizio che avrei acquisito approfittando di sotterfugi e di false apparenze ma che lusingherebbe il mio ego. La mia ricerca in questa direzione deriva dal Non-Fare e riguarda tutti gli aspetti della mia vita, è antica, lunga e rischiosa allo stesso tempo perché “senza riferimenti fissi” come scriveva Tsuda sensei. Questo orientamento è uno strumento, un utensile indispensabile per permettere ai membri delle associazioni di camminare verso la propria libertà, la propria autonomia attraverso l’attività nel dojo. Per riassumere il mio pensiero, vorrei citare un filosofo del XIX secolo che apprezzo da molto tempo e la cui importanza mi è sempre sembrata sottovalutata nella nostra società. “Nessun individuo può riconoscere la propria umanità, né di conseguenza realizzarla nella vita, se non riconoscendola negli altri e cooperando alla sua realizzazione per gli altri. Nessun uomo può emanciparsi se non emancipa con lui tutti gli uomini che lo circondano. La mia libertà è la libertà di tutti, poiché io non sono realmente libero, libero non solo nelle idee ma nei fatti, se non quando la mia libertà e il mio diritto trovano la loro conferma e la loro sanzione nella libertà e nel diritto di tutti gli uomini, miei eguali”.(3)Com’era Itsuo Tsuda e cosa l’ha colpita di lui?Era un uomo di grande semplicità e allo stesso tempo di grande finezza. Il fatto che parlasse così perfettamente il francese, che lo scrivesse, ci permetteva una comunicazione che non potevo trovare altrove con un maestro giapponese. Era anche un intellettuale nel senso migliore del termine, la sua conoscenza dell’Oriente e dell’Occidente gli ha permesso di trasmettere un certo tipo di messaggio, che rimane ancora oggi senza eguali, in relazione al corpo e alla libertà di pensiero, in particolare nei suoi libri. Aveva incontrato Ueshiba Morihei nel 1955 come traduttore di Nocquet sensei e cominciò a praticare nel 1959, quando aveva già quarantacinque anni. Fu suo allievo per dieci anni, ma poiché era già praticante di Seitai e traduceva per gli stranieri francesi e americani le parole di O sensei, ha potuto cogliere la profondità delle sue parole e l’importanza della postura, dello spirito e soprattutto del respiro (del Ki) nella prima parte dell’Aikido, cosa che oggi sembra dimenticata – con mia grande tristezza.Come trovare l’equilibrio tra insegnamento e pratica personale?Direi semplicemente che io pratico Aikido da cinquant’anni, ogni mattina alle 6:45 per un’ora e mezza e 365 giorni all’anno. Naturalmente, pratico anche il Katsugen undo (che Tsuda sensei aveva tradotto con Movimento rigeneratore), anche in questo caso – potrei dire – tutti i giorni, se non altro, almeno attraverso il bagno caldo Seitai(4). Per quanto riguarda l’insegnamento, ho più o meno uno stage al mese, che sia a Parigi, a Tolosa, a Milano o a Roma.C’è stata evoluzione nella sua pratica o nel suo insegnamento?Certo che sì! Come potrebbe essere altrimenti? Se ci si esercita sinceramente la pratica si estende a tutti gli aspetti della nostra vita, faccio fatica a capire le persone che hanno abbandonato o vanno a cercare altre arti perché trovano l’Aikido ripetitivo. La vita quando è vissuta pienamente è ripetitiva? Ogni istante della mia pratica provoca dei cambiamenti, delle evoluzioni, e anche degli sconvolgimenti che mi hanno portato a rimettere in discussione, ad approfondire. Questo è ciò che provoca in me la gioia nella mia pratica dell’Aikido. Anche i momenti più difficili, e forse più di altri, sono stati i vettori di trasformazioni e di arricchimenti.Il suo maestro, ItsuoTsuda, una volta le ha dato un koan, vero?Sì, ma faccio fatica a raccontare le circostanze esatte. Devo prima spiegarvi che Tsuda sensei sapeva parlare al subconscio delle persone, ogni volta che lo faceva era un modo per dare loro una mano ma non ne parlava quasi mai. Diceva che Noguchi sensei lo faceva correntemente perché fa parte delle tecniche Seitai. Un giorno, in seguito ad una discussione, mi disse «Coraggio», frase tutto sommato abbastanza banale, ma il tono che usò dicendolo evidentemente all'”intermissione respiratoria” mi sconvolse e mi fece reagire, dandomi una forza interiore che non sospettavo. Un’altra volta è stata più importante perché è stato in quel momento che mi ha dato il koan. Mentre gli raccontavo le difficoltà rispetto al lavoro (come guadagnare di che vivere per me e la mia famiglia, ecc.) e come trovare il modo per continuare a praticare, e persino aprire un dojo perché sarei andato via da Parigi per qualche anno e sarei stato a 800 km, cominciò a spiegarmi che nella scuola di Zen Rinzai (avevo appena letto le interviste di LinTsi e lui lo sapeva) il maestro dà agli allievi dei koan che loro devono risolvere. All’improvviso mi ha detto «Impossibile» «Questo è per lei!» Poi se n’è andato rapidamente, lasciandomi inchiodato sul posto, sconcertato, completamente sbalordito. Devo dire che all’inizio l’ho trovato assurdo, ridicolo, mi aveva già dato qualche tempo prima una direzione per la mia pratica scegliendo in modo preciso la calligrafia MU(5) come regalo da parte dei miei allievi parigini. Ma ora, ero scioccato, non capivo. Mu mi sembrava un vero koan, già conosciuto, catalogato, accettabile, ma “impossibile” non aveva senso. Perché dire questo a me? È nel corso degli anni che la “risposta” è apparsa come evidente.Che posto occupa il Katsugen Undo nella sua pratica?Oh! Ha un’importanza di primo piano, ma, per rispondervi, ecco un aneddoto. Eravamo al ristorante con Tsuda sensei, e Noguchi Hirochika – il primo figlio di Noguchi sensei – che era seduto accanto a me mi chiese improvvisamente: «Katsugen undo, che cos’è per lei?» La risposta fu tanto immediata quanto spontanea: «È il minimo», risposi, e da allora non ho cambiato opinione. Questa risposta era piaciuta molto a Tsuda sensei ed egli la utilizzò in alcune delle sue conferenze durante gli stage. Il “minimo” per mantenere l’equilibrio, per permettere al nostro sistema involontario di funzionare correttamente così da non aver più bisogno di preoccuparci della salute, e da non aver più paura della malattia.Per lei, un Aikido senza Katsugen undo ha senso?Sì, certo, nonostante tutto, dipende da come si pratica. È semplicemente un peccato non approfittare di ciò che può renderci indipendenti, di ciò che può risvegliare la nostra intuizione, la nostra attenzione, la nostra capacità di concentrazione e liberare la nostra mente.Da molti anni lei contribuisce a Dragon Magazine. Questo cosa vi apporta?Questo mi permette di trasmettere un messaggio e allo stesso tempo mi costringe a renderlo il più chiaro possibile rispetto all’insegnamento del mio maestro Tsuda sensei, e quindi alla nostra Scuola. È anche un modo per uscire dall’ombra pur rimanendo nella semplicità, senza fare pubblicità o clamore. Leggere regolarmente gli articoli dei miei contemporanei e dei giovani insegnanti, mi dà molto e mi permette di vedere e comprendere le diverse direzioni in cui va l’Aikido e le loro ragioni d’essere, anche quando non le approvo.La scrittura è importante nel Budo?La scrittura è sempre importante perché è una delle basi della comunicazione – “le parole volano via ma gli scritti rimangono”. Tuttavia, senza una pratica reale, questo rischia di rimanere nel campo delle idee e di soddisfare solo l’intelletto, in questo caso si manca il bersaglio.Ci sono stati anche altri maestri che sono stati importanti per lei?Ho la fortuna di appartenere a un’epoca in cui era possibile incontrare un gran numero di sensei della prima generazione. Gli anni ’70 erano molto ricchi da questo punto di vista, correvamo di stage in stage per formarci, prestando attenzione alle loro parole, alle loro posture, per trarre il meglio da ciò che ognuno di loro apportava. Tutta la mia riconoscenza va dunque a tutti coloro che mi hanno insegnato, il mio maestro Itsuo Tsuda senseï, Masamichi Noro sensei, Nobuyoshi Tamura sensei, André Nocquet sensei, come pure a coloro che ho avuto occasione di incontrare. Preferisco citarli in ordine alfabetico per non suggerire nulla rispetto all’importanza che hanno avuto nella mia pratica: Michio Hikitsuchi sensei, Hirokazu Kobayashi sensei, Rinjiro Shirata sensei, Seiichi Sugano sensei, Kisshomaru Ueshiba sensei, cosí come – sebbene io non abbia mai praticato il Karaté – Taiji Kasé sensei, o Hiroo Mochizuki sensei che ho incontrato grazie a Tsuda sensei e che mi hanno colpito. Non dimentico Maroteau Rolland sensei che fu il mio primo insegnante di Aikido e che mi ha permesso di incontrare colui che fu il mio principale mentore: Itsuo Tsuda sensei.1) Un luogo chiamato oggi “atelier del gioco del dipingere”.2) La pedagogia del Maestro Jacques Grey (1929-2019), pianista.3) Mikhail Bakunin, filosofo anarchico, 1814-1876.4) Rivista Yashima, N°13, ottobre 2021.5) “Nulla” o “non-esistenza”, termine usato nel Taoismo per esprimere la vacuità.
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Superficialità o approfondimento
Seitai | unità del corpo #5
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Seitai
I principi Seitai, che si possono perfino assumere la qualifica di “filosofia Seitai” – modo di vedere, di pensare il mondo – furono elaborati da Haruchika Noguchi (1911-1976) nella prima metà del ventesimo secolo. Per riassumere brevemente (!), il Seitai è un “metodo” o una “filosofia” che include il Seitai soho, i Taiso, il Katsugen undo, il Katsugen soho, e il Yukiho. Pratiche che si completano, si interpenetrano, e costituiscono la vastità del pensiero Seitai di Haruchika Noguchi. Si può anche citare lo studio dei Taiheki (tendenze posturali), l’utilizzo del bagno caldo, l’educazione del subconscio, l’importanza della nascita, della malattia e della morte…Un’arte di vivere dall’inizio alla fine.
Oggi purtroppo il termine “Seitai” è abusato e designa tutto e il contrario di tutto. Alcuni operatori in terapie manuali si richiamano troppo facilmente al Seitai (Tsuda diceva che ci volevano vent’anni per formare un tecnico seitai!). Quanto ai ciarlatani che propongono di trasformarvi in qualche seduta? non ne parliamo neanche! L’ampiezza dell’arte di vivere, la comprensione globale dell’Uomo nel Seitai sembrano molto lontane. Se resta solo una tecnica da applicare ai pazienti, l’essenziale è perso. Se del Katsugen undo resta solo un momento per “ricaricarsi”, l’essenziale è perso.
Haruchika Noguchi e Itsuo Tsuda andarono entrambi ben oltre nella loro comprensione dell’Uomo. E i semi che hanno seminato, gli indizi che hanno lasciato affinché gli esseri umani potessero evolvere, sono importanti. Si può dunque parlare di una via, di Seitai-d?1? Poiché si tratta di un cambiamento di punto di vista radicale, di uno sconvolgimento, di un orizzonte totalmente differente che si apre.
Riprendiamo il filo della storia…
L’incontro con Haruchika Noguchi: l’individuo nella sua totalità
Itsuo Tsuda incontrò Haruchika Noguchi intorno al 1950. È l’approccio all’essere umano come proposto nel Seitai che l’interessò immediatamente. L’acutezza di osservazione degli individui presi nella loro globalità/complessità indivisibile che Itsuo Tsuda scoprì in Noguchi s’inscriveva nella prosecuzione di ciò che aveva attirato l’interesse di Tsuda in occasione dei suoi studi in Francia presso Marcel Mauss (antropologo) e Marcel Granet (sinologo). Itsuo Tsuda cominciò allora a seguire l’insegnamento di Noguchi e lo fece per più di vent’anni. Ricevette il sesto dan di Seitai.
«Il Maestro Noguchi mi ha permesso di osservare le cose in un modo molto concreto. Attraverso queste manifestazioni di ogni individuo è possibile vedere quello che agisce all’interno. È un approccio completamente diverso dall’approccio analitico: la testa, il cuore, gli organi digestivi, ognuno li considera secondo la sua specializzazione e poi, il corpo da una parte, il lato psicologico dall’altra, non è così? Ebbene, egli ha permesso di vedere l’uomo, cioè l’individuo concreto nella sua totalità.»1
La malattia concepita come un fattore di equilibrio
Tanto più che è precisamente negli anni cinquanta che Haruchika Noguchi, il quale aveva scoperto molto presto le sue capacità di guaritore, decise di rinunciare alla terapeutica. Creò allora la nozione di Seitai, cioè di “terreno normalizzato”.
«La parola ‘terreno’ intesa come l’insieme che costituisce l’individuo, il lato psichico e quello fisico insieme, mentre in Occidente si divide sempre in psichico, e poi fisico.»2
Il cambiamento di ottica di fronte alla malattia fu decisivo in questo riorientamento di Noguchi.
«La malattia è una cosa naturale, è uno sforzo dell’organismo che tenta di recuperare l’equilibrio perduto. [?] E’ bene che la malattia esista, ma bisogna che gli uomini si liberino dal suo assoggettamento, dalla sua schiavitù. È così che Noguchi è arrivato a concepire la nozione di Seitai, la normalizzazione del terreno, se si vuole. Non ci si occupa delle malattie, è inutile guarire. Se si normalizza il terreno, le malattie spariscono da sole. E inoltre, si diventa più vigorosi di prima. Addio alla terapeutica. Finita la lotta contro le malattie.»3
Un cammino verso l’autonomia
L’abbandono della terapeutica va anche di pari passo con il desiderio di uscire dai rapporti di dipendenza che legano il paziente al terapeuta. Noguchi desiderava permettere agli individui la presa di coscienza delle loro capacità ignorate, risvegliarli al pieno sviluppo del loro essere. Durante i vent’anni in cui i due uomini si sono frequentati, passarono lunghi momenti a parlare di filosofia, arte, ecc., e Noguchi trovò di cosa nutrire e allargare le sue osservazioni e riflessioni personali nella vasta cultura dell’intellettuale che era Itsuo Tsuda. Si costruì così tra loro un rapporto di arricchimento reciproco.
Itsuo Tsuda fu redattore della rivista Zensei, pubblicata dall’Istituto Seitai e partecipò attivamente agli studi condotti da Noguchi sui Taiheki, “tendenze posturali”. Come riporta un testo di Haruchika Noguchi pubblicato nella rivista Zensei del gennaio 1978, fu Itsuo Tsuda che avanzò l’ipotesi – validata da Noguchi – che il tipo nove, “bacino chiuso”, fosse l’archetipo dell’essere primitivo.4
La messa a punto del Katsugen undo da parte di Noguchi interessò particolarmente Itsuo Tsuda, che colse immediatamente l’importanza di questo strumento, in particolare per quanto riguarda la possibilità di permettere agli individui di ritrovare la loro autonomia, di non aver più bisogno di dipendere da nessuno specialista. Pur avendo coscienza e ammirando la precisione la portata profonda della tecnica del Seitai soho, Tsuda considerò che la diffusione del Katsugen undo fosse più importante dell’insegnamento della tecnica. Fu così che per sua iniziativa in Giappone si costituirono un po’ dappertutto dei gruppi di Movimento rigeneratore (Katsugen kai).
Itsuo Tsuda ha privilegiato la diffusione del Katsugen undo in Europa come porta d’entrata verso il Seitai.
Oggi, anche in Giappone, il Seitai soho ha preso un orientamento che lo avvicina a una terapia. Un problema: una tecnica da applicare. Il Katsugen undo diventa una specie di ginnastica “light” di benessere, di distensione. Si è lontani dal risveglio dell’essere vivente, della capacità autonoma del corpo di reagire a cui si fa riferimento nel Seitai di Haruchika Noguchi.
L’esercizio di yuki, alfa e omega del Seitai, si pratica ad ogni seduta di Katsugen undo. Così, benché Tsuda non abbia insegnato la tecnica del Seitai soho, ne ha trasmesso l’essenza, l’atto più semplice, questa “non tecnica” che è yuki. Quella che ci serve tutti i giorni, quella che sensibilizza progressivamente le mani, il corpo. Questa sensazione fisica, reale, sperimentabile da tutti, è oggi troppo spesso considerata come una tecnica speciale, riservata ad un’élite. Si dimentica che è un atto umano ed istintivo. Anche la pratica del Katsugen undo mutuale (con un partner) si perde, persino nei gruppi che hanno seguito l’insegnamento di Tsuda. Che peccato! Perché attraverso yuki e il Katsugen undo, il corpo riscopre le sensazioni, quelle che non passano per l’analisi mentale. Questo dialogo nel silenzio, che ci fa scoprire l’altro dall’interno e che ci riporta dunque a noi stessi, al nostro essere interiore. Yuki e Katsugen undo sono per noi strumenti indispensabili, raccomandati da Haruchika Noguchi, per avviarci verso un “terreno normale”.
Ma il tempo passa e le cose si deformano, così come le parole di saggezza di alcuni diventano oppressioni religiose… Poco a poco il Katsugen undo non è niente di più che un momento per “ricaricarsi”, distendersi e soprattutto per non cambiare niente della propria vita, della propria stabilità. Il Seitai, un metodo per dimagrire dopo il parto… Mentre si tratta di un orientamento della vita, di un pensiero globale. Il passo immenso che fece Haruchika Noguchi uscendo dall’idea della terapeutica è un grande passo avanti nella storia dell’umanità. La comprensione globale dell’individuo, la sensibilità al ki, ritrovare sufficientemente sensibilità, centro di se stessi, per ascoltare il proprio corpo e agire liberamente.
Non si tratta neanche di opposizione tra metodi, teorie, culture. Si tratta puramente e semplicemente di evoluzione dell’umanità.
Manon SoaviNote:1) Itsuo Tsuda, Intervista a France Culture, il Maestro Tsuda spiega il Movimento rigeneratore, emissione N° 3, primi anni 80.2) Itsuo Tsuda, Intervista a France Culture, op. cit., puntata N° 4, primi anni 80.3) Itsuo Tsuda, Il Dialogo del Silenzio4) Sui Taiheki, consultare Itsuo Tsuda, Il Non-Fare, Yume Editions, (2014)
Seitai e vita quotidiana #4
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Yuki #3
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La nozione di salute secondo il Seitai #2
Seitai e Katsugen Undo #1
Buongiorno Malattia #2
Seguito dell’Intervista a Régis Soavi sul Katsugen Undo (o Movimento rigeneratore), una pratica elaborata da Haruchika Noguchi e diffusa in Europa da Itsuo Tsuda: articolo di Monica Rossi pubblicato sulla rivista « Arti d’Oriente » (num. 4 / maggio 2000).
per leggere la parte 1 –> https://www.ecole-itsuo-tsuda.org/it/bonjour-maladie/
Partita #2
-Come si può definire yuki?
– Far passare il ki.
-Come avviene che yuki aiuti ad attivare il movimento?
– Aiuta nella misura in cui sono stati fatti i tre esercizi, oppure gli esercizi per il movimento mutuale (l’attivazione attraverso i secondi punti della testa); questo è un altro modo di attivare il movimento. Yuki aiuta perché attiva; è molto importante per me dire che il yuki è fondamentalmente diverso da ciò di cui in genere si sente parlare, perché quando si fa yuki si ha la testa vuota, non si guarisce nessuno, non si cerca alcunché; si è solamente concentrati in questo atto. Non ci sono intenzioni e questo è fondamentale. Nello statuto del dojo, d’altra parte, è scritto che pratichiamo “senza scopo”.
Ascoltare i libri di Tsuda # 2
Parte #2 : Katsugen UndoL’attore, scrittore, Yan Allegret ha letto alcuni estratti dei libri di Tsuda, live Sabato, 8 febbraio 2014, al tè-biblioteca di Blois, le Liberthé.
Il movimento non costituisce un apporto esterno. Traccia il cammino per la scoperta di se? in profondita?. Questo cammino non e? una linea retta verso il paradiso, ma un percorso tortuoso.
Haruchika Noguchi
Nacque a Ueno, quartiere di Tokyo, nel settembre 1911. Tutto cominciò all’età di tre o quattro anni quando si stupì di aver alleviato il mal di denti a qualcuno semplicemente posandovi le mani: era un bambino, le sue mani andavano verso il bersaglio, senza rendersi conto di ciò che faceva. Il suo primo exploit lo compì a dodici anni, quando procurò la guarigione dei suoi vicini che soffrivano di dissenteria, dopo il grande terremoto che colpì la regione di Tokyo nel 1923. A quest’età cominciò a ricevere persone che gli domandavano di esser curate. All’epoca non aveva alcuna conoscenza, nemmeno elementare, di anatomia e di medicina. Adolescente, cominciò a prendere coscienza delle conseguenze dei suoi atti. All’inizio credeva, come accade a quasi tutti i guaritori, di avere un potere eccezionale, che solo lui possedeva. In questo trovò la propria vocazione, ma non si fermò a questo stadio e continuò. Da autodidatta studiò tutti i metodi terapeutici orientali ed occidentali. A quindici anni aprì un dojo a Iriya. A diciassette anni formulò Precetti della vita piena (Zensei Kun), che permettono di comprendere meglio il suo pensiero. Nel 1930 scrisse Riflessione sulla vita integrale, testo sorprendente per un giovane che aveva allora solo diciannove anni.Fu negli anni Cinquanta che il Maestro Noguchi cambiò totalmente orientamento. Attraverso la propria esperienza pratica e studi personali arrivò alla conclusione che nessun metodo di guarigione può salvare l’essere umano. Abbandonò la terapeutica, concepì l’idea di Seitai e il Katsugen undo. La salute è una cosa naturale che non richiede nessun intervento artificiale. La terapeutica rafforza i rapporti di dipendenza. Le malattie non sono cose da guarire, ma delle occasioni di cui bisogna approfittare per attivare l’organismo e riequilibrarlo. Decise quindi di smettere di guarire le persone e di diffondere il Katsugen undo e yuki, non prerogativa di una minoranza, ma atto umano e istintivo.Nel 1956 creò l’Associazione Seitai, ancora oggi riconosciuta e appoggiata dal Ministero dell’Educazione Nazionale (non il Ministero della salute) del Giappone.Insegnò direttamente ai membri dell’associazione, tenne conferenze in tutto il Giappone. Lasciò molti libri.Ebbe quattro figli con la moglie Akiko (1916~2004).Nel 1976 morì a sessantaquattro anni nella sua casa di Tokyo, circondato dalla famiglia.Estratti dall’opera di Itsuo Tsuda e dalla biografia del sito www.seitai.org
Ginevra, Katsugen Kai
Questo articolo racconta la storia del dojo di Ginevra (Katsugen Kai, gruppo di movimento rigeneratore), si trova in filigrana il percorso di Itsuo Tsuda dai suoi primi anni in Europa. E’ stato pubblicato in aprile 1987 nel «giornale del dojo». Scritto da un co-responsabile del dojo, Sven Kunz, è qui riportato con la gentile autorizzazione del suo autore. L’articolo è preceduto da un estratto delle lettere di Itsuo Tsuda inviate a Ginevra nel 1975.
Il lavoro è ciò che ci permette di avere i piedi per terra.
Non predico l’evasione, la rinuncia. L’utopia non esiste da nessuna parte, salvo dove si è. Se lo si sa attendere, il cambiamento interiore si farà e non si vedrà più la cosa nello stesso modo.
C’è il fenomeno della fissazione molto forte negli occidentali, ed è inevitabile che ci si sfoghi nella discussione.
Non ho mai impedito alle persone di discutere, è il loro sport preferito. Ora, queste discussioni oziose sono quasi sparite.
Dal Filosofo del Ki #2
Seguito e conclusione del reportage pubblicato sulla rivista “Question de” nel 1975, realizzata da Claudine Brelet (antropologa, esperta internazionale e donna di lettere francese) a Itsuo Tsuda.Partita #2Si possono “fondere” respirazione e visualizzazione?– Effettivamente, la visualizzazione costituisce uno degli aspetti del Ki. La visualizzazione gioca un ruolo fondamentale, primordiale nell’Aikido. È un atto mentale che produce effetti fisici. La visualizzazione fa parte dell’aspetto “attenzione” del Ki. Quando l’attenzione è localizzata, ferma al polso, per esempio, la respirazione diventa superficiale, perturbata…si dimentica tutto il resto del corpo.Leggere di più
Verso il movimento del Non-Fare
Bruno Vienne è regista, realizzatore di documentari sugli animali e sull’avventura umana, membro della spedizione Tara Arctic al Polo Nord, ed ex allievo di Itsuo Tsuda.
Dopo 30 anni di pratica, sente che è il momento di condividere ciò che ha capito e sentito nell’approccio al Movimento Rigeneratore e alla pratica respiratoria del Maestro Ueshiba (fondatore dell’Aikido). Ci invita a un’immersione nel nostro infinito potenziale interiore.
“Saremo in grado di passare la china per una nuova umanità?
È tutto lì, è la sfida dei prossimi anni…
Gli allarmi rossi lampeggianti sono accesi già da molto tempo per quanto riguarda il modo in cui utilizziamo l’energia e l’acqua sulla Terra.
Per una ecologia del corpo umano
Dicembre 2013 “Il Manifesto”. Intervista a Régis Soavi Sensei, maestro di Aikido che da oltre trent’anni fa conoscere il «Katsugen undo», pratica giapponese che ci fa ritrovare le capacità naturali.
Oggi molte persone con idee politiche diverse o anche prive di una idea politica definita, si preoccupano di come i loro comportamenti individuali possono influire sull’ambiente: acquistare prodotti biologici e a”km-zero”, riciclare meglio i rifiuti, scegliere fornitori di servizi più rispettosi dell’ambiente, ridurre il consumo energetico, ecc.
A livello di dibattito politico comunque, la retorica ecologista funziona sempre, anche in tempo di crisi.
In ogni caso, l’attenzione collettiva verso le condizioni e la qualità della terra, dell’aria e dell’acqua, per diverse ragioni, che sia per senso di responsabilità o a volte, semplicemente per business, è alta. Ci si preoccupa delle sostanze con cui tutti gli esseri viventi entrano in contatto: piante, animali ed esseri umani, siano queste nutritive, medicinali o tossiche.
Alla scoperta dell’Aïkido e del Katsugen Undo, l’Arte del Non-Fare
Cosa sono l’Aikido e il Movimento Rigeneratore? Come fare di essi mezzi per vivere la quotidianità? Ce ne parla Régis Soavi, discepolo diretto di Itsuo Tsuda, a sua volta allievo del Maestro Ueshiba e del Maestro Noguchi. Articolo di Francesca Giomo
Dell’Aikido conoscevo solo il nome, prima di essere invitata a partecipare a quattro lezioni per praticare questa “non arte marziale” presso la Scuola della Respirazione di via Fioravanti a Milano. Le lezioni per gli “assaggiatori” si tenevano il lunedì sera alle sette, nessuna parte teorica, ma solo pratica. Prima si osservava la dimostrazione della tecnica da parte degli allievi più anziani, quindi, si “eseguiva” direttamente.
L’Aikido di cui parleremo e che ho cominciato a conoscere è quello del Maestro Itsuo Tsuda, allievo del fondatore della pratica Morihei Ueshiba. Ora è Régis Soavi a portare avanti la ricerca iniziata da Tsuda attraverso la pratica del suo insegnamento presso differenti dojo in Europa, tra cui anche la Scuola della Respirazione di Milano. Tsudo in vita si era occupato anche del Katsugen Undo, il Movimento Rigeneratore, appreso da Haruchika Noguchi, che viene praticato, oltre all’Aikido, anche presso il dojo di Milano. Di entrambi ce ne parla direttamente Régis Soavi nell’intervista che segue.
D – Che cosa è l’Aikido? Può essere definito un’arte marziale?RS – L’Aikido è una non-arte marziale. Infatti l’origine dell’Aikido è un’arte marziale che si chiama Ju Jitsu. La visione del Maestro Ueshiba ha trasformato questa arte marziale in un insieme di armonia e fusione tra le persone. Per questo non si tratta più di un’arte marziale come alle origini, ma di una non-arte marziale.
D – Fu, allora, il Maestro Ueshiba ad inventare l’Aikido?RS – Si, fu Ueshiba, morto nel 1969. Ma il fatto che alla base dell’Aikido vi sia il Ju Jitsu è importante, in quanto da qui si capisce come Ueshiba con l’Aikido ne cambiò lo spirito. Ai-Ki-Do significa via (do) dell’armonia (ai) del ki, vi di fusione del ki. La sua linea di orientamento ha di fatto trasformato un’arte marziale in qualcosa d’altro. Nell’Aikido non si può, ad esempio, parlare di difendersi, bensì di fondersi.
D – Se Ueshiba fu il fondatore dell’Aikido, l’insegnamento della Scuola della Respirazione si rifà, però, al Maestro Itsuo TsudaRS – Sì, Tsuda è morto nel 1984. Attraverso i suoi libri ha fatto passare il messaggio di Ueshiba, di cui fu allievo per dieci anni, come me di Tsuda. Dopo la morte di Ueshiba si formarono diverse scuole di Aikido. Qualcuna tra queste ha preferito tornare a un’arte marziale tipo Ju Jitsu, altre hanno fatto dell’Aikido uno sport. Noi cerchiamo di capire cosa in realtà il Maestro Ueshiba ha detto.
D – Il M. Tsuda ha conosciuto tardi il Maestro Ueshiba? Prima praticava arti marziali?RS – No, Tsuda era un intellettuale. Non aveva mai praticato arti marziali. Studiò in Francia con Marcel Granet e Marcel Mauss, lui fu interessato dal Ki. Ha cominciato le sue ricerche verso questa direzione e prima ha scoperto il Katsugen Undo, poi l’Aikido. Tsuda, grazie a Ueshiba, ha visto come si poteva usare il Ki nell’arte marziale. Aveva 45 anni quando ha cominciato, senza mai praticare prima né karatè, né judo, né altro.
D – Non è facile per un occidentale comprendere cosa sia il KiRS – Tutti ne parlano ormai. Basta pensare al Tai Chi Chuan, al Qi Qong?Tutti lo conoscono dal punto di vista mentale, ma è dal punto di vista del fisico che pochi lo sperimentano. Ma questo non si può spiegare. Ognuno deve sentirlo, non esiste spiegazione. A noi non interessa la spiegazione di cosa sia il ki a noi interessa solo come possiamo utilizzarlo. E’ un po’ come spiegare cosa sia l’amore. Oggi si possono fare analisi sull’odore delle donne, su quello degli uomini ecc?ma non basta, se no siamo solo animali?Non si spiega l’amore, l’amore è un incontro tra due essere e non avviene perché quello ha la barba ecc ecc… Così avviene anche per il Ki.
D – Parlando della pratica dell’Aikido, come si articola una seduta?RS – Una seduta di Aikido è un momento speciale della giornata. Io pratico ogni giorno, vi si può ritrovare un certo aspetto sacro. All’inizio della pratica vi sono dei gesti rituali, di cui non è importante conoscere il senso, ma fondamentale è che quando li fai, questo procura qualcosa. C’è anche la recitazione del norito (un testo di origini shintoiste recitato in giapponese), che è una recitazione di purificazione Nessuno sa cosa vogliono dire le parole intonate, ma quando la loro recitazione è buona c’è una vibrazione interna, che agisce. A noi può sembrare molto mistico, ma se uno ascolta dei lieder di Schubert, ad esempio, eseguiti da un buon cantante, se non sa il tedesco non capisce nulla, ma quando ascolta il canto accade qualcosa o di triste o di gioioso, viene generato un effetto. Come quando si guarda la rappresentazione del teatro Noh, non si capisce niente, è in giapponese, ma i gesti e i movimenti creano effetti. E questo non è mistico, bensì reale.
D – Quando abbiamo assistito a una delle ultime parti della seduta, la parte del movimento libero, grazie al susseguirsi di attacchi e “fusioni”, sembrava di assistere a un’improvvisazione…RS – Sì, infatti, si tratta di un’improvvisazione
D – Ci vuole una tecnica speciale per fare il movimento libero?RS – Anche se si tratta di un’improvvisazione, ci sono dei gesti che sono un pò ritualizzati. Uno non può attaccare a caso,ma in un certo modo dipende dalla postura di chi è attaccato, diciamo così. Il gesto dell'”attaccante” corrisponde alla postura di colui che viene “attaccato”. Ma nel caso di un’improvvisazione, come quando dei musicisti improvvisano insieme, c’è sempre armonia altrimenti si crea il caos. Dunque si sorpassa la tecnica e si crea armonia.Tutti possono farlo. Ognuno lo fa al suo livello. All’inizio lo si fa più lentamente, con la tecnica che si conosce. Non si inventa qualcosa di veramente nuovo.
D – Che importanza ha il respiro nella nell’Aikido?RS – Quando si parla di respiro in tale contesto, si parla della condizione del Ki. Uno non deve pensare a respirazione a livello dei polmoni. E’ un respiro del corpo che permette di essere più in armonia. Quando uno agisce è espirazione, quando uno riceve è inspirazione.La respirazione polmonare, quando si inizia a praticare, diventa più ampia. Tutto il corpo respira e questo diviene più sciolto e morbido, il ki scorre meglio. In tal senso la respirazione serve ad ammorbidire le persone, a trovare un ritmo nella pratica, perché se uno non respira correttamente dopo cinque minuti non ha più forze. Per questo motivo, all’inizio delle sedute si pratica lentamente, perché armonizziamo attraverso il respiro i gesti. I gesti, quindi, vengono armonizzati dal respiro.
D – All’inizio della pratica c’è il maestro che fa un respiro molto particolare, molto forte, ma in funzione di cosa esattamente?RS – Questo respiro serve per espirare a fondo, per vuotare. C’è un’abitudine deformante comune a molte persone riguardo alla respirazione. Oggi, infatti, le persone tendono a trattenere sempre un po’d’aria, non respirano a fondo. Trattengono il respiro perché sono sempre pronti a difendersi, a dare riposte. Alla fine il respiro, non essendo mai realmente vuoti, non può essere profondo e manca il fiato. Quindi, la seduta si inizia facendo uscire tutta l’aria, così, insieme a lei escono anche i pensieri. E diventiamo vuoti, nuovi.
D – Dove agisce a livello fisico l’Aikido?Che tipo di riposte muscolari esige dal fisico?RS – E’ come nella vita quotidiana, normalmente si usano tutti i muscoli, così nell’Aikido. E’ vero, però, che alcune scuole di Aikido hanno cercato di fare diventare il corpo più forte. La nostra scuola non vuole questo. Non vogliamo essere più forti, solo meno deboli. I muscoli non devono essere più forti per fare qualcosa di speciale. Con l’Aikido uno si muove normalmente e fa dei gesti quotidiani?come correre, girare, gesti normali, che però facciamo con un’attenzione speciale.
D – E’ possibile riportare questa “attenzione speciale” nella propria vita quotidiana?RS – Certo, altrimenti non serve a niente l’Aikido. Alcuni vengono qui per poter diventare più forti, per difendersi, invece no. L’Aikido serve a sensibilizzare, a diventare più sensibile e dunque serve nella vita quotidiana. Si ritrova una certa morbidezza. Se prima il respiro era troppo corto e alto, a poco a poco, diventa più calmo. Questo serve per interagire con i bambini, nelle relazioni di lavoro?questa è la vera utilità dell’Aikido, servire nella vita quotidiana.
D – Voi praticate sempre la mattina molto presto?Perché?RS – Io sì, nella scuola Itsuo Tsuda pratico così, ma non tutti quelli che fanno Aikido praticano la mattina presto. Io preferisco la mattina perché siamo più nella dimensione dell’involontario, è una condizione che permette al corpo di svegliarsi e prepararsi alla giornata.
D – Presso la “Scuola della Respirazione” si pratica anche il Katsugen Undo, ovvero il Movimento Rigeneratore. Quali le sue origini?RS – E’ una scoperta del Maestro Noguchi. All’inizio Noguchi era un guaritore. Faceva passare ki alle persone per farle stare meglio. Ma a un certo punto, ha scoperto che la capacità umana di guarirsi da solo era innata, ma non funzionava più o funzionava di meno. E’ lui che ha scoperto che facendo yuki, ovvero fare passare il i con le mani, i corpi si muovono da soli e che questo comporta un riequilibrio del corpo. Sempre Noguchi, quindi, ha trovato alcuni movimenti che permettono al corpo di risvegliare la sua capacità di autoguarirsi. Per questo è nato il Movimento Rigeneratore o Katsugen Undo, esercizi che permettono al corpo di risvegliare capacità che non sa di avere.Tsuda ha portato il movimento rigeneratore in Francia e ione sono stato interessato perché ho trovato il legame che c’era tra l’Aikido e il Movimento Rigeneratore. Ho realizzato la presenza di tale legame per il fatto che quando un corpo è sano e ritrova le sue capacità, l’Aikido non può più andare verso il senso della lotta contro gli altri, bensì sparisce la volontà di farlo. Dunque il Movimento Rigeneratore è molto importante, a mio avviso è difficile praticare l’aikido nella nosra scuola senza conoscerlo.
D – Il Katsugen Undo si può apprendere solo frequentando gli stages che Lei tiene ogni due mesi?RS – Durante lo stage faccio delle conferenze, spiego e mostro le “tecniche” che permettono di entrare nello stato che genera il movimento. Io torno ogni due mesi per permettere alle persone che praticano quotidianamente di continuare nel “buon cammino”. Molti possono sviare, forse proprio perché nel Movimento Rigeneratore non c’è niente da fare, in realtà, solo essere presenti, chiudere gli occhi, svuotare la testa. Alcuni però pensano che sia meglio fare delle sedute accompagnate da musica ecc ecc?Ma il cammino è quello più semplice.
D – Il Movimento Rigeneratore è una cosa che noi abbiamo già, ma abbiamo dimenticato?RS – Non Proprio. Il Movimento Rigeneratore è un’attività umana normale, quello che abbiamo dimenticato è di lasciare il nostro corpo vivere da solo. Abbiamo dimenticato la fede nel nostro corpo, nelle nostre capacità, è come se fossimo traumatizzati. Il Movimento Rigeneratore permette di ritrovare questo, se prima non potevo fare qualcosa, dopo posso farlo. Ho solo allenato la mia capacità di fare, non ho fatto niente altro. Questa capacità si trova nel sistema motorio exrapiramidale, il sistema involontario. Quando questo viene allenato, si ritrova la capacità di riequilibrarsi da soli. E’ questa la capacità che abbiamo già. Anche le persone che non fanno Movimento Rigeneratore sanno riequilibrarsi da sole: quando uno è stanco va a letto, dorme e durante il sonno il corpo si muove, questa è la capacità del corpo di riequilibrarsi. Il Movimento Rigeneratore è una cosa che tutti hanno ancora un po’, ma la capacità di fare scattare il movimento diventa minore, attraverso l’allenamento dell’extrapiramidale la si ritrova.
D – Cosa è il sistema motorio extrapiramidale?RS – E’ il sistema involontario, che permette che il corpo si riequilibri. Ma non è l’unico, infatti, il Movimento Rigeneratore agisce anche sul sistema immunitario, che non dipende dal sistema extrapiramidale, ma è una capacità involontaria.Il movimento del nostro copro non è qualcosa che possiamo imparare, ma solo scoprire ed accettare. Il Movimento Rigeneratore agisce su tante cose, ad esempio sulla capacità di riscaldarsi, ma per ogni persona è diverso, non c’è né movimento uguale né reazione uguale perché ogni persona è diversa.
D – Il maestro davanti a persone che non conosce deve avere una sensibilità particolare per capire di che movimento ognuno dei partecipanti ha bisogno?RS – No perché il maestro non può fare il movimento per l'”allievo”, in quanto il movimento è spontaneo involontario, per cui ogni persona deve trovare il suo. Un allenamento del sistema involontario deve iniziare dal fatto di “lasciarlo involontario”. Dunque durante gli stages io spiego, faccio fare esercizi e dopo faccio solo “yuki”. Qualche volta posso aiutare la persona a svuotarsi la testa, con qualche tecnica, ma dopo il movimento scatta da solo. E’ come quando una persona si gratta sa dove e come farlo, senza che nessuno gli dica nulla.
D – Cosa significa Yuki e fare Yuki?RS – Yuki significa ki gioioso e fare Yuki “fare passare il ki gioioso”, ma è un’interpretazione?Si fa appoggiando le mani sul corpo dell’altro.
D – Si parla di riequilibrio del corpo, ma il Movimento Rigeneratore non è una terapia, bensì esercizi che permettono il risveglio di qualcosa?RS – Sì perché la terapia vuol dire che tu ti occupi del sintomo della malattia, ti prendi una responsabilità. Qui no. Qui lasciamo solo che il corpo faccia il suo lavoro. Se le persone hanno dei problemi e bisogno di qualcosa, si può fare il Ki e così si attiva la capacità del resto del corpo. Per cui non è terapia. Ci sono delle conseguenze terapeutiche, questo si può dire.
D – Tutti possono praticare il Movimento Rigeneratore?RS – No. Alle persone che hanno subito dei trapianti è sconsigliato, perché se una persona ha subito un trapianto possiede una parte di un’altra persona. Il suo corpo con il Movimento Rigeneratore tende a espellere la parte estranea al suo corpo. Infatti, colui che subisce un trapianto deve prendere medicine che gli permettano di fare accettare al suo corpo l’elemento estraneo. Il Movimento Rigeneratore attiva le capacità del corpo di riequilibrarsi, dunque agisce nell’espulsione di quel qualcosa di estraneo a sé. Può andare bene,invece, se il trapianto è con materiale del suo corpo, parti di pelle che prese da un punto vengono messe in un altro. Non accettiamo nemmeno persone che prendono medicine forti, come il cortisone ecc? in quanto queste medicine vanno nel senso della “desensibilizzazione” delle persone, mentre il Movimento Rigeneratore ne rende più acuta la sensibilità.
D – Quanti anni bisogna praticare per potere condurre una seduta di Movimento Rigeneratore?RS – Non ha senso parlare di anni. Sono i praticanti stessi che tengono le sedute. Basta anche solo un anno di pratica. Certo per condurre una seduta la persona deve avere un respiro abbastanza calmo e un ‘attitudine giusta, cordiale, semplice, non disturbare gli altri. Infatti, agisce solo l’involontario dell’altra persona.
D – Non può succedere qualcosa durante la seduta dal punto di vista emotivo da parte di persone più fragili?RS – Non accade nulla di questo, perché si scopre che il Movimento Rigeneratore è veramente naturale. E’ come se dicessi che grattandosi uno si fa uscire sangue. Le persone hanno delle tensioni al loro interno ma il Movimento Rigeneratore non le fa uscire, le scioglie. Se c’è qualcosa che non ha più ragione di essere, si scioglie.
D – Per permettere al Movimento Rigeneratore di generarsi bisogna prima liberare la mente dai pensieri, fare “vuoto mentale”, ma come avviene questo?RS – Per fare vuoto mentale, bisogna cominciare a lasciare cadere i pensieri che arrivano. Il vuoto significa che se ci sono pensieri passano. La mente ha comunque bisogno di agire, ma i pensieri non hanno importanza. All’inizio è un po’ difficile, ma poi non ci si preoccupa più e poco a poco tutto viene da sé?
Articolo di Francesca Giomo pubblicato sulla rivista on-line “Terranauta”, 04/01/2006.
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